«Ditemi la verità sulla morte di Filippo»

CHIOGGIA. «Voglio sapere la verità. Ho perso mio marito, non ho più niente nella vita. Ma voglio sapere la verità: come è morto Filippo? Che cosa ha causato il naufragio? Qualcuno me lo deve dire». Piange mentre parla, Anna, la vedova di Filippo Salvagno, il pescatore che, insieme al collega Angelo Tiozzo Brasiola, ha perso la vita in circostanze non ancora chiarite, nella notte tra giovedì e venerdì.
Una notte di mare sostanzialmente calmo in cui i due uomini erano andati a fare un lavoro, la posa delle reti da posta, che conoscevano a memoria, così come conoscevano il tratto di mare in cui si erano recati. Entrambi sapevano nuotare bene, ma entrambi sono morti. Le domande di Anna, quindi, sono più che legittime, anche perché le stesse domande sono rimaste senza risposta pochi mesi fa, quando il naufragio riguardò un altro barchino, quello dei fratelli Giorgio e Lucio Tiozzo Facaca, morti, senza che nessuno abbia mai potuto spiegare con certezza che cosa fosse loro accaduto.
Ora Anna ha paura che anche la morte di suo marito e dell'amico Angelo passi così, senza una spiegazione. Ma non senza un “colpevole”. Perché Anna sa che la colpa di questa disgrazia è tutta della cattiva situazione economica.
«Filippo era un grande lavoratore» dice «i suoi colleghi lo sanno tutti e lo possono confermare. Lavorava sempre, per mantenere la sua famiglia e, ultimamente, per pagare le multe. E' morto lavorando, e questo non è giusto». A sentire le storie dei pescatori, l'idea che l'onesto sudore della fronte sia garanzia di serenità economica e familiare, suona tragicamente beffarda. Le nuove regole europee li hanno costretti a compiere una scelta: lavorare, come avevano imparato da i loro padri, entro le tre miglia, in una situazione di illegalità, o uscire in mare e rischiare la vita. Filippo aveva fatto entrambe le cose: prima aveva cercato di continuare il suo lavoro di sempre, col peschereccio “Padre Pio”, ma era stato multato per migliaia di euro. Poi aveva cercato di lavorare fuori, in mare. Ma il peschereccio non se lo poteva più permettere, costava troppo mantenerlo e lui doveva pagare quelle multe. Quindi usciva in mare con un barchino leggero, per risparmiare sui costi, rischiando la vita. E gli è andata male.
Anche Angelo aveva una storia analoga. Lui, le multe non le aveva prese, perché non era armatore, ma marinaio. Alcuni anni fa era sbarcato e aveva cominciato a lavorare sulle chiatte, a Marghera. Da qualche tempo era a casa, e andava a pesca per arrotondare, ma gli amici dicono che proprio oggi avrebbe dovuto ricominciare sulle chiatte. Due vittime della crisi, quindi. «Il pescatore non si impicca» dice qualcuno di loro commentando anche altri fatti di cronaca «il pescatore lavora fino all'ultimo, piuttosto muore in mare». Proprio quello che è accaduto a Filippo e Angelo. Quest'ultimo ha lasciato una fidanzata, Patrizia. Filippo ha lasciato la moglie Anna e la figlioletta Michelle, che compirà tre anni in agosto. «Siamo sole» dice Anna «e non so come faremo a tirare avanti. In questi giorni non sono quasi uscita di casa, se non per le necessità legate all'incidente, non ho letto i giornali e non ho parlato con altri pescatori. Ma chi era Filippo lo conoscevano tutti». E mentre si aspetta che l'autopsia o il ritrovamento del barchino riveli qualche indizio, ad Anna rimangono solo il dolore della perdita e una richiesta: «Voglio sapere la verità».
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