Degrado e abbandono nei tre bacini delle navi

«Il lavoro c’è, ma la nostra azienda lo rifiuta. E intanto i Bacini di carenaggio sono sempre più degradati. Perché lasciare andare quest’area preziosa in malora?». I sindacalisti della Cav lanciano un allarme disperato. Da mesi sono senza lavoro, mercoledì è convocato un incontro in Prefettura per discutere del destino dei 28 operai di Cav (Costruzioni Arsenale Venezia), società subentrata alla Palomar, oggi di proprietà delle tre grandi imprese del Mose, Mantovani, Condotte e Grandi Lavori Fincosit. Una storia complicata e intrecciata con lo scandalo Mose. Scatole cinesi di società che cambiano nome, vendono rami d’azienda e spendono risorse pubbliche per i restauri di un luogo storico che adesso sembra destinato a diventare il “magazzino” del Mose.
La situazione è disperata. L’Arsenale Nord con i suoi tre storici bacini di carenaggio è una landa desolata. Ferme le grandi gru da poco restaurate con una spesa di decine di milioni di euro. Inutilizzati i depuratori, i binari e le piastre costruite qualche anno fa con i soldi dello Stato. Erbacce e transenne, area deserta, uffici vuoti, niente vigilanti: un’area per la manutenzione delle navi, unica in tutto l’Adriatico, vuota e inutilizzata. Nel bacino piccolo, fino a qualche tempo fa utilizzato dall’Actv per la manutenzione di vaporetti e motonavi, crescono le erbacce. Il Bacino medio è usato come deposito per contenere la vecchia porta arrugginita. «Sono sistemi delicati, hanno bisogno di manutenzione», dice Stefano Zanini, delegato Rsu della Cav, «se si lasciano andare li perdiamo per sempre».
Ecco il bacino grande, il più recente. Costruito ai primi del Novecento con le lamiere di scarto della nave “Principe di Piemonte”. Dentro ci sono centinaia di appoggi in legno e pietra usati per tenere le navi all’asciutto. Luogo ideale per la manutenzione. «Perché non ci fanno lavorare?», chiede Zanini, «dicono che le manutenzioni navali sono finite ma non è vero. Sono in crisi ma potrebbero essere facilmente rilanciate». La proposta degli operai è portare all’Arsenale le manutenzioni delle flotte pubbliche. A cominciare da Actv, che ha spostato il cantiere a Pellestrina, con una scelta singolare e antieconomica. E da Veritas. «Ma la volontà delle aziende va da un’altra parte», denunciano i rappresentanti dei lavoratori. Gli interventi di restauro erano stati fatti prima dell’inchiesta sul Mose, costati decine di milioni di euro. C’era all’orizzonte la possibilità di impiantare lì la manutenzione del Mose. Ma adesso per le imprese non ci sono più certezze. Perché investire senza la sicurezza di avere l’incarico della gestione Mose per i prossimi anni?
«Quel luogo è sempre stato destinato a cantieristica», spiega Zanini, «si potrebbero fare anche le due attività insieme. E ricostituire l’azienda pubblico privata com’era una volta Stn, che possa rilanciare il lavoro». Anche per la movimentazione dei cassoni, dicono gli operai, non servono i Bacini. Che dovrebbero essere restituiti alla loro attività naturale di contenitori per barche e navi anche di grandi dimensioni. «Era così», racconta Zanini, «finché non decisero di fare qui i piloni in calcestruzzo del rigassificatore. Progetto del Consorzio e della Regione di Galan. Da allora abbiamo perso le commesse di Msc, che portava qui le sue navi portacontainer, e anche gli altri. L’altro giorno, dopo l’incidente tra due mercantili in bocca di porto, hanno rifiutato il lavoro di manutenzione. Ma gli ultimi arsenalotti non ci stanno: «Abbiamo esperienze e capacità che vogliamo mettere a disposizione della città. Qualcuno ci ascolti».
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