Confindustria Venezia: «Un minuto di silenzio nelle aziende contro il governo»

VENEZIA. «Decidiamo un giorno, decidiamo un’ora: e facciamo un minuto di silenzio, in tutte le aziende, per dire che non ne possiamo più». La mette giù così il presidente di Confindustria Venezia e Rovigo, Vincenzo Marinese, che nell’assemblea ordinaria degli industriali, ieri pomeriggio nella sede del Vega, si rivolge ai suoi associati. «Siete soddisfatti sì o no delle politiche del governo? No. E allora lo dobbiamo dire in modo chiaro, perché noi e l’Italia stiamo rischiando grosso. Vogliamo far finta di niente, o vogliamo dare un segnale forte?».
La proposta Marinese non ama i discorsi scritti, parla a braccio. E la sua provocazione spiazza i suoi associati. Ma quando, alla fine del suo intervento, arriva il momento di votare la sua relazione, tutti alzano il braccio per approvarla, all’unanimità. Nella sala dell’associazione degli industriali c’è il suo vice, Gian Michele Gambato (Rovigo), il presidente Veneto, Matteo Zoppas, ma anche Maria Cristina Piovesana e Massimo Finco, rispettivamente presidente e presidente vicario di Assindustria Veneto Centro, nata dalla fusione delle territoriali di Treviso e Padova. «La proposta di Marinese? Faremo tutto quello che è utile fare per le imprese. Ne discuteremo», abbozza Finco a caldo. Il minuto di silenzio che ha in mente Marinese farà rumore solo se saranno in tanti ad aderire, almeno le 5 mila aziende rappresentate dalle quattro province. E ora che la proposta è stata messa sul tavolo degli industriali, è chiaro che bisognerà vagliarla. Marinese dice che non è un boutade, ma il frutto di quanto ha visto nelle assemblee delle territoriali in giro per il Veneto.

«Politica surreale» «A Treviso erano tutti arrabbiati con le politiche del governo, a Verona lo stesso, qui da noi lo stesso. La mia è una constatazione da notaio, non da uno che ce l’ha a prescindere con questo governo». Parla di una politica «surreale», che procede a colpi di «spot pubblicitari». E, a distanza di poco più di un anno dall’entrata in carica del governo giallo-verde, manda un messaggio ai suoi, e che però colpisce come una cannonata la Lega, nella quale molti imprenditori veneti speravano di trovare una sponda. «È un governo unico, guardate che su questo ci stanno fregando», incalza il presidente degli industriali di Venezia e Treviso, «e io dico che è arrivato il momento di dire basta». Reddito di cittadinanza, mini-bond, il debito pubblico e lo spread che galoppano, e che rischiano di esporci alle bizze dei mercati finanziari. Le conseguenze, dice Marinese, già si vedono: a Venezia le aziende cominciano a dare segnali di difficoltà, i programmi a lungo e medio termine sono spariti dall’orizzonte del Paese. «Meglio uscire dall’Europa? Se usciamo siamo morti. Critichiamo le regole altrui perché non sappiamo rispettare neanche le nostre».
«Guerra economica» Debolezze tutte italiane in un contesto di «guerra economica mondiale». Da un lato gli Stati Uniti di Trump, la politica dei dazi e della defiscalizzazione spinta sui beni immateriali - che sta attirando brand di tutto il mondo - dall’altro l’avanza dell’armata cinese, che vuole conquistarsi il mercato europeo, e per dirla con le parole di Marinese «si è già presa il Porto del Pireo, sta conquistando la Turchia e l’Africa, con un investimento di 200 miliardi di euro in infrastrutture con la condizione che nelle aziende di quei Paesi entri capitale cinese». E in questo contesto l’Italia che fa? «Cresce dello 0,2% ed è costretta trovare 30 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva».
«L’Iva la fermiamo noi» Eccola qui, quindi, la seconda provocazione di Marinese. «Diciamo al governo: ve li diamo noi i soldi per evitare che scattino le clausole di salvaguardia. Ho fatto un po’ di conti: dovremmo sborsare da 5 mila a 50 mila euro per le aziende più grandi. Penso che tutti noi saremmo disposti a farlo, a una condizione però: che il governo ci faccia scrivere le politiche di sviluppo di questo Paese, le regole le dobbiamo scrivere anche noi. Paghiamo noi? E allora scriviamo noi le regole». —
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