Confermate le condanne 30 anni ai fratelli Sorgato per aver ucciso Isabella

La sentenza nell’aula bunker di Mestre: per la veneziana Cacco 16 anni e 10 mesi Il terzetto deve risarcire 900 mila euro alla famiglia e 100 mila all’ex marito
Foto Agenzia Candussi / BARON / MESTRE VIA DELLE MESSI /MESTRE ARRIVO IMPUTATI PROCESSO D'APPELLO OMICIDIO ISABELLA NOVENTA .
Foto Agenzia Candussi / BARON / MESTRE VIA DELLE MESSI /MESTRE ARRIVO IMPUTATI PROCESSO D'APPELLO OMICIDIO ISABELLA NOVENTA .

Venezia

Colpevoli, anche senza un corpo. Colpevoli, anche senza una traccia biologica o un frammento dei poveri resti di una donna caduta, con l’ingenuità di una bambina, nella trappola mortifera costruita dall’uomo un tempo amato e da due finte amiche portatrici solo di rabbia e di rancore. Colpevoli, oltre ogni ragionevole dubbio, Freddy Sorgato, la sorella Debora e la complice Manuela Cacco di aver ideato, organizzato e attuato l’assassinio di Isabella Noventa, segretaria di Albignasego.



Alle 17.30 di ieri nell’aula bunker di Mestre, dopo sei ore e mezza di camera di consiglio, è arrivata la sentenza di secondo grado, l’ultima che decide nel merito. Così al termine di un giudizio abbreviato che si svolge a porte chiuse e impone, per legge, lo sconto di un terzo della pena, la Corte d’assise d’appello di Venezia ha confermato in pieno la sentenza di primo grado nei confronti del terzetto killer, come richiesto dall’avvocato generale dello Stato Giancarlo Buonocore (il procuratore vicario generale che rappresenta la pubblica accusa). Trent’anni di carcere per Freddy Sorgato, camionista-ballerino ed ex fidanzato della vittima che, ieri, ha festeggiato davvero un brutto compleanno (il 49esimo) lontano dalla villetta di Noventa Padovana che non rivedrà più. Trent’anni per la sorella Debora Sorgato, 47 di Camin, frazione di Padova, considerata l’esecutrice materiale del feroce delitto commesso a colpi di mazzetta sul capo, salvo poi strangolare Isabella con una corda intorno al collo e infilarle un sacchetto di plastica in testa per evitare spargimento di sangue. Sedici anni e 10 mesi per la 56enne veneziana Manuela Cacco, l’ex tabaccaia di Camponogara rivale in amore della segretaria, chiamata a rispondere insieme ai complici di omicidio premeditato e soppressione di cadavere, con un ruolo più defilato, ma anche di stalking nei confronti di Isabella e di simulazione di reato. Confermato un risarcimento di 900 mila euro per la famiglia Noventa e di 100 mila per l’ex marito Piero Gasparini; i tre imputati in solido dovranno saldare ulteriori spese processuali per un totale di 39 mila euro.

I fratelli Sorgato hanno ascoltato impassibili le parole del presidente del collegio Alessandro Apostoli Cappello; qualche lacrima solo sul volto di Cacco. A udienza conclusa, tutti a bordo di cellulari diversi per diverse destinazioni: il carcere di Verona per Debora, quello di Padova per Freddy, il penitenziario di Venezia per Manuela.



Nessuna falla nell’impianto accusatorio costruito durante mesi di indagini dal pm padovano Giorgio Falcone. Ogni dubbio è stato spazzato via dalle repliche del procuratore Buonocore che ha illuminato le ultime ombre. I legali di Debora sostengono che la vittima, alta un metro e 80, si sarebbe potuta difendere di fronte alla fragile imputata di appena un metro e 53? Falso. Isabella era alta poco meno di un metro e 60 e pesava sui 50 chili, come si legge nella denuncia di scomparsa. Facile sopraffarla. E ancora: secondo le difese sarebbe un piano troppo raffazzonato per essere un delitto e, per di più, premeditato? Argomentazione suggestiva, ha rintuzzato il procuratore. Se ogni omicidio calcolato e pianificato fosse ben fatto, non ci sarebbero più processi. C’è chi insiste a dire che manca il movente? Niente affatto, ha sostenuto la pubblica accusa: oltre all’accusatrice Cacco, pure il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Verde, compagno di Debora, e un’amica della vittima ben sapevano dell’odio nutrito della sorella di Freddy per Isabella.



Nessuno potrà mai sapere che cosa davvero si sono detti i due giurati togati e i sei giurati popolari (tre uomini e tre donne tra i 30 e i 50 anni) nella lunga camera di consiglio prima di arrivare alla pronuncia. Giurati il cui voto ha lo stesso peso. Tra 90 giorni le motivazioni. E, solo allora, si comprenderà il valore dato a prove e indizi. Anche se non ci sarà mai un corpo. —

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