Con Dadi a sostegno dei down

Esiste un mondo ai più sconosciuto, che opera nel sottobosco, subisce tagli e ogni giorno combatte affinché anche un solo sorriso nasca sulle labbra di chi è meno fortunato. È il mondo dell’associazionismo. L’associazione Down Dadi onlus, un'organizzazione senza fini di lucro, costituita da familiari e amici di persone con sindrome di Down, autismo e disabilità intellettiva, che opera nella zona di Mestre e Padova dal 1985. Una dozzina di assunti che seguono 120 ragazzi tra i 12 e 30 anni. La grande sfida che si propone è di offrire loro l’opportunità di vivere una vita quanto più possibile autonoma e integrata, sia dal punto di vista lavorativo che abitativo.
Patrizia Tolot, presidentessa, va dritta al cuore del problema. «Far capire ai politici che è giunta l’ora di cambiare mentalità almeno con le nuove famiglie che ormai nonaccettano più di troncare di brutto le belle esperienze di vita “normale” fatte con l’integrazione scolastica e che oltre tutto risparmierebbero quasi la metà. Serve una legge regionale che preveda l’innovazione e che ovviamente abbia un suo finanziamento, fondi che però non devono essere dati ai soliti centri che già gestiscono disabili altrimenti non si farebbe altro che riciclare gli esuberi con un piccolo restyling e non sin investirebbe, invece, su utenti completamente nuovi».
Cosa l’ha spinta a dedicarsi ai giovani?
«È stato quasi il contrario. Noi famiglie di giovani abbiamo sentito l’esigenza di vedereun futuro , una vita dignitosa per i nostri figli. Ma non abbiamo voluto delegare tutto alle forme assistenziali attualmente proposte dal sistema pubblico. Nei nostri progetti il ruolo della famiglia è determinante. La vita dei ragazzi è un puzzle che alla fine deve dare il quadro completo, per non correre il rischio di avere mille esperti e ognuno concentrato sul suo pezzo».
L’Associazione Dadi è l’unica in Italia ad avere percorsi strutturati di affettività e sessualità, monitorati dal professor Lascioli dell’Università di Verona, eppure finora ha conosciuto solo tagli.
«Per noi non ci sono mai stati finanziamenti, perché siamo troppo innovativi e quindi i tagli li abbiamo avuti sempre: i nostri genitori contribuiscono con almeno il 30-40% della spesa, a seconda dei progetti, il resto viene raccolto da tutti, con un’opera capillare anche dei ragazzi stessi che hanno imparato a fare autopromozione dei loro progetti . È stata una formula ottima per renderli più consapevoli».
Come investite sul futuro?
«Aggiornamento e modernizzazione sono la nostra mission. Se il sociale si ritrova nelle sabbie mobili per la disabilità intellettiva è perché da 40 anni si continuano a proporre gli stessi schemi d’intervento. Un ragazzo con disabilità che esce dalla scuola superiore non va assistito, va educato, quindi va continuato quel percorso educativo fatto dalla scuola».
Gian Nicola Pittalis
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