Centrale Enel di Fusina, l'allarme dei sindacati: se chiude rischio black out e addio a 500 posti di lavoro

MARGHERA. Il conto alla rovescia è già cominciato e, salvo ripensamenti dell’ultima ora, il destino dell’ultima centrale termoelettrica a carbone targata Enel, esistente a Porto Marghera e nell’intero Veneto, la Palladio di Fusina, è segnato. E’ desinata a chiudere entro il 2025, come previsto dal Pnec, il pianto integrato per l’energia e il clima in vigore dal 2018, nel quadro della cosiddetta “decarbonizzazione dell’economia” per ridurre le conseguenti emissioni inquinanti e di C02 in atmosfera, come previsto dall’Accordo di Parigi per contrastare i cambiamenti climatici.
La prevista chiusura della centrale ha già indotto Veritas spa ad avviare la procedura di autorizzazione per riaccendere il suo inceneritore in modo da poter continuare a bruciare il residuo di rifiuti solidi secondari (Css), dopo la raccolta differenziata, che a tutt’oggi viene incenerito, insieme al carbone, nei forni della centrale Palladio.
La centrale di Fusina conta oggi in Enel 213 lavoratori in organico, di cui circa 80 è under 40, e un numero di addetti delle imprese in appalto stabilmente in attività che varia tra i 150 ed i 260 in fase manutentiva» per un totale di quasi 500 unità lavorative. La prospettiva della dismissione anche di questa centrale – dopo quella di Marghera, intitolata a Volpi di Misurata, chiusa qualche anno fa – preoccupa non poco i sindacati di categoria che temono anche per il mantenimento, a tutti gli effetti, del «presidio degli impianti in sicurezza per i lavoratori, per il territorio e per la popolazione a causa dell’inarrestabile riduzione del personale in ruoli chiave di presidio dei processi». Stefanello Luca (Cgil), Lanni Maria Gabriella (Cisl) e Celin Virginio (Uil) si dicono preoccupati anche per l’autonomia energetica del Veneto che «già ad oggi, con l’impianto di Fusina in attività (2 gruppi da 160 Mw e 2 gruppi 320 Mw) importa già il 43% del fabbisogno energetico complessivo».
I tre sindacalisti sottolineano, inoltre, che nel piano di strategia energetica nazionale (Sen), messo a punto nel 2017, «non c’è però traccia alcune della specificità della centrale di Fusina». Una specificità che – spiegano i sindacati – consiste nel fatto che, oltre al carbone, alla Palladio si brucia una quota di Css (combustibile solido secondario derivante dai rifiuti dell’area metropolitana di Venezia (circa 70.000 tonnellate all’anno che possono essere portate a 100.000), con un contributo positivo per l’ambiente in quanto producono emissioni in atmosfera a metà sotto i limiti consentiti dalla legge e meritano, quindi, un’analisi complessiva del fattore ambientale, anidride carbonica (CO2) inclusa».
I sindacati prendono quindi atto del fatto che «il decreto del novembre 2018 sul riesame complessivo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) dispone la cessazione definitiva dell’utilizzo del carbone ai fini della produzione termoelettrica entro il 31 dicembre 2025», ma fanno anche presente che Terna spa – la società che gestisce la sicurezza del sistema elettrico nazionale – continua a sostenere che per il «mantenimento del sistema elettrico nazionale è indispensabile che un certo numero di impianti a carbone siano funzionanti». Terna spa – aggiungono i sindacati – ha inoltre «evidenziato con certezza che visto il numero di ore all’anno in cui la domanda di energia è superiore alle risorse disponibili, importazioni incluse, ci si troverà in presenza di una eccedenza della domanda di energia rispetto le risorse nazionali disponibili, con il conseguente rischio di black out elettrico». —
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