Capannone Veritas in fiamme «L’impianto non era idoneo»

Ascoltata ieri in tribunale a Venezia la relazione tecnica dei vigili del fuoco «Oltre allo stoccaggio, c’erano macchinari per la triturazione dei rifiuti» 
Agenzia Candussi, incendio deposito Veritas a Fusina
Agenzia Candussi, incendio deposito Veritas a Fusina

MARGHERA. «Se avessimo saputo che l’impianto era dotato di un trituratore, non avremmo valutato l’impianto antincendio come idoneo per l’intera struttura». Così Francesco Piro, responsabile della sezione investigativa dei vigili del fuoco, è intervenuto ieri mattina - nelle vesti di consulente del pubblico ministero, Andrea Petroni - nel processo che vede imputati l’amministratore delegato e legale rappresentante di Ecoricicli Veritas, Vittorio Salvagno; Alessio Bonetto, responsabile tecnico e direttore operativo dell’impianto di Fusina; Roberto Ardemagni, responsabile del servizio di protezione e prevenzione. L’accusa per loro è quella di incendio colposo come previsto dagli articoli 423 e449 del codice penale, che prevede che «chiunque (....) cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro (...) è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

I fatti risalgono al giugno del 2017, quando un rogo dalle dimensioni spropositate avvolse tra le fiamme l’impianto per il trattamento dei rifiuti ingombranti di Fusina (inaugurato solo da 6 mesi), incenerendolo completamente.

Due operai rimasero leggermente intossicati nel corso dell’incidente, ma non si sono costituiti parte civile. Le indagini sono state condotte dalla polizia giudiziaria dei vigili del fuoco che nella sua relazione ha evidenziato due ordini di problemi: la non correttezza della procedura di smaltimento dei rifiuti, in particolare nella fase della cernita, e l’assenza di formazione adeguata del personale in servizio all’impianto di Fusina, come invece previsto dal piano di sicurezza predisposto per ogni luogo di lavoro. L’azienda al tempo aveva spiegato che, nel momento in cui si erano innescate le fiamme, era entrato in funzione l’impianto antincendio e alcuni operai erano intervenuti utilizzando gli estintori. Ma la velocità di propagazione del rogo era stata così elevata che i dipendenti erano dovuti fuggire senza poter fare molto per evitare la devastazione delle fiamme.

Secondo il consulente tecnico dell’accusa, l’impianto era formalmente fermo alla fase progettuale. Ma c’è di più. L’impianto non sarebbe stato utilizzato esclusivamente per le funzioni a cui era destinato.

«Il capannone - le parole del consulente - serviva per lo stoccaggio dei rifiuti ma al suo interno, dopo essere intervenuti per domare l’incendio, abbiamo trovato un’apparecchiatura per la triturazione dei rifiuti. A detta del responsabile dei vigili del fuoco, il trituratore a rulli era invece stato utilizzato perché, nei paraggi, furono ritrovati rifiuti triturati, da cui poi è partito l’incendio.

«Ma soprattutto - ha aggiunto Piro - non doveva essere messo in funzione con materiale metallico tra i denti. Invece, era stata triturata una partita di materassi da cui non erano state rimosse le molle metalliche». E proprio la frizione del ferro contro il ferro sarebbe, secondo l’accusa, tra le cause dell’innesco dell’incendio che poi non avrebbe lasciato scampo al capannone di Veritas. —

Eugenio Pendolini

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia