Ca’ Foscari, caos esami Direttive diverse: a distanza ogni prof va per conto suo

Uno studente analizza la situazione all’interno dell’Università tra pregi e difetti, in un periodo dove regna la confusione 

la lettera

Le lezioni e gli esami universitari in Dad fanno discutere. Sul tema, abbiamo incontrato uno studente che – da dentro – ci ha raccontato come stanno andando le cose in tempo di pandemia.



Sono uno studente di Ca’ Foscari e avrei una segnalazione da fare. La Nuova Venezia si occupa giustamente e doverosamente di Dad, con relativi malumori e proteste, in particolare per la scuola dell’obbligo e gli istituti superiori. Quasi nulla invece per quanto riguarda l’università. Ovvio, sono cose ben diverse e arrivo a dire che tutto sommato qua non va affatto male. Si assiste e si partecipa meglio che in un’aula affollata. Però c’è una questione specifica: le modalità di esame. Non so come funziona in altri atenei, ma per quanto riguarda Ca’ Foscari è il caos. Intanto ogni docente va per conto suo: la forma scritta ormai è la regola generale. Però c’è chi lo fa orale, proprio come forma di rifiuto della modalità test di massa (una esperta docente dice: io voglio vedere chi ho davanti). E per il voto, si scatena la questione della privacy: te lo dico? Non te lo dico? Ognuno va per la sua strada.

Per lo scritto, poi, si apre un ventaglio di possibilità: c’è chi fa tre domande a risposta aperta, quindi con impostazione che richiede ragionamento, chi undici a risposta multipla. Mah. Chi sceglie l’opzione “open book” (chiudiamo il collegamento, voi scrivete e facciamo a fidarsi che non copiate: siamo maturi, ormai), chi “closed book”. Per esempio, motivo di protesta del rappresentante degli studenti con relativa reazione offesa della docente, in un corso sdoppiato (lettere A-L, M-Z) un docente lo fa in un modo, l’altro in modo differente. Poi, chi pretende risposte scritte a mano (così non si può fare copia incolla), scannerizzate e inviate attraverso il sistema informatico di ateneo. Chi chiede di tenere microfono e telecamera accesi per la videosorveglianza, chi pretende una doppia telecamera in funzione per controllare il movimento delle mani.

Questo sul metodo, che per carità riguarda la libertà di docenza. Ma mi chiedo, ci sarà una direttiva omogenea di ateneo? Poi, punto dolentissimo: siamo tutti bravi ma abbiamo a che fare con l’informatica. E se si inceppa? Allora: in un’ora e mezza di tempo bisogna accedere alla stanza virtuale per l’appello e il riconoscimento, aprire contemporaneamente la piattaforma di ateneo per aprire o scaricare le domande, scrivere la prova, e se va bene – a seconda del sistema scelto di volta in volta – basta premere il pulsante invio; ma se va peggio occorre salvare, trasformare in Pdf, caricare e inviare. In un’ora e mezza. Se poi capita – come è appunto capitato nei giorni scorsi, ed è la ragione che mi spinge a scrivere – che mentre da una parte sono in collegamento con il docente, dall’altra non si apre proprio nulla. Panico. Chi dice che non è autorizzato, chi non ha l’app, chi dice che può scaricarla subito dal sistema, chi non ha word, chi non apre, chi non trova la finestra del compito, chi non riesce a scrivere nelle gabbie. Ecco, che si fa? Il collegamento con l’aula virtuale si chiude e ognuno si arrangia a modo suo. C’è anche chi ha fotografato le domande con il cellulare, ha scritto a parte, salvato e sul filo dei minuti inviato il tutto per mail al docente.

I docenti, appunto: cosa dicono? C’è chi ammette: è vero, così non va bene ma basta che in qualche modo l’attività possa andare avanti. Però quest’ansia concentrata in un’ora e mezza, più l’attesa, preferiremmo utilizzarla per pensare al compito e non al pulsante.

Gentile direttore, se ritiene che l’argomento possa interessare (siamo svariate migliaia) potrebbe sentire i rappresentanti eletti degli studenti, i direttori di dipartimento, la rettora, il ministro, l’Europa… Ma non devo certo dirlo io, un povero studente stremato da due esami in tre giorni. —



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