Bloccati i progetti sociali in via Piave

Restituite alla famiglia Goisis le chiavi di sei alloggi al civico 143 e rimandato il trasloco degli uffici comunali e dei vigili
Di Mitia Chiarin
Bivacco nei giardinetti di via Piave
Bivacco nei giardinetti di via Piave

L’assenza della politica comunale comincia a farsi sentire anche in via Piave, il quartiere della stazione dove si erano concentrati vari progetti anti degrado e microcriminalità delle Politiche sociali pensati per risolvere conflitti, creare integrazione tra vecchi e nuovi residenti e far sentire, forte, la presenza delle istituzioni.

Oggi in via Piave si vive un preoccupante stallo. Il riutilizzo a fini sociali degli immobili sequestrati dal tribunale all’imprenditore cinese Keke Pan e dati in gestione al Comune di Venezia non è ancora decollato. Anzitutto gli immobili a disposizione si sono ridotti: il palazzo al civico 143 è stato riconsegnato dal Comune ai legittimi proprietari, la famiglia Goisis (mai coinvolta nell’inchiesta e composta da Giuseppe, docente universitario di Ca’ Foscari e la sorella Maria Ludovica ) che ha ottenuto dal tribunale del riesame lo scorso maggio la restituzione di 10 appartamenti e 3 negozi finiti sotto sequestro. Nelle scorse settimane il Comune ha dovuto restituire alla immobiliare Lampi le chiavi di 4 appartamenti e due negozi del civico 143 che escono così dal patrimonio in gestione al Comune.

Ma nel palazzo al civico 161 e nell’ex centro massaggi al civico 145 si sono trasferite per ora solo alcune associazioni combattentistiche. Non sono ancora stati trasferiti i servizi delle Politiche sociali che si occupano di prostituzione, lotta alla tratta e l’Etam e gli uffici operativi della Polizia municipale.

Sulla carta da settimane il trasloco è dato come imminente, di fatto non ci sono certezze su quando avverrà.

E in queste settimane di forte preoccupazione per i tagli alle Politiche sociali rischiano di interrompersi non solo i servizi che si occupano di clochard e sbandati (sospesi dal 1 agosto) ma anche i progetti dell’Etam, del servizio Città e Prostituzione e anti-tratta, che proprio in via Piave dovrebbero trasferirsi.

E si teme che la riscossa di via Piave venga di fatto vanificata fermando progetti veneziani che negli anni sono stati copiati in altre parti d’Italia.

Gli operatori di strada temono gli effetti delle riduzioni imposti dalle decisioni commissariali. E non solo su stipendi, che talvolta non superano i mille euro se si tratta di personale di cooperative sociali che hanno in gestione servizi delle Politiche sociali.

«Al di là delle riduzioni di salario, che pesano, io temo per il senso del mio lavoro», si confida una operatrice, «perché se il nostro diventa un lavoro impiegatizio e non possiamo più fare interventi la sera, anche solo per andare ad un incontro con i cittadini, che senso ha?».

Un bel dilemma che, in un Comune commissariato, rischia di bloccare l’azione anti degrado in via Piave e in altre zone a rischio. E senza operatori in strada, “antenne” del degrado, il vuoto lo percepiscono anche i cittadini. «Siamo preoccupati perché in via Piave stiamo assistendo ad una recrudescenza di furti di biciclette e i giardini sono al centro di traffici di tutti i tipi. I vigili non si vedono e la tensione e il malcontento tra i residenti cresce e questo preoccupa perché basta poco a scatenare reazioni non controllate», racconta Fabrizio Preo che lavora da anni con il gruppo di quartiere e con Casa Bainsizza.

I cittadini di Casa Bainsizza, per non vanificare il lavoro di questi anni, hanno deciso di trasformarsi in associazione: dal coro delle voci del mondo al gruppo delle mamme di quartiere, passando per chi si occupa della cura delle aiuole strappate agli spacciatori. Micro progetti, certo, che erano però il segnale della rinascita di un quartiere che oggi torna a temere.

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