Bimba tolta e riaffidata, i genitori fanno causa

Chiesti i danni ai medici dell’ospedale di Padova. «Siamo stati vittime anche di sequestro di persona e abuso d’ufficio»

SPINEA. Nove mesi da incubo, con il terrore di perdere per sempre la propria bambina. E con l’accusa, infamante, di averla maltrattata e abusata. Poi la rinascita sul piano personale, anche se il trauma è rimasto. E la volontà di ottenere giustizia per essere stati sbattuti “sul banco degli imputati” come due genitori senza alcuna coscienza e rispetto per l’amatissima creatura. Adesso una coppia di Spinea reclama il risarcimento dei danni dall’Azienda ospedaliera di Padova per «l’errore diagnostico e l’inspiegabile gravissima condotta dei sanitari della Casa del bambino maltrattato (l’Unità di crisi per bambini e famiglie del Dipartimento per la salute della donna e del bambino nell’ospedale di Padova)». Oltre al riconoscimento di una somma probabilmente a sei zeri, (nell’atto di citazione depositato nei giorni scorsi si indica “la somma che risulterà di giustizia”), al Tribunale civile di Padova si chiede pure la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica di Padova. Il motivo? I genitori con la figlia ritengono di essere stati vittime dei reati di sequestro di persona e di abuso d’ufficio. A tutelarli è l’avvocato padovano Matteo Mion.

La mattina del 24 febbraio 2016 la mamma, 34 anni, esce di casa con la sua bimba sistemata nell’“ovetto”. Nel voltarsi per chiudere il portone, l’incidente: la neonata, appena 40 giorni, cade, sbatte il volto sul marciapiede e si ferisce la lingua. Subito è trasferita al Pronto soccorso di Mirano. E i sanitari decidono di inviarla nel Pronto soccorso pediatrico di Padova a bordo di un’ambulanza senza personale medico. Qui viene rimosso un coagulo nella lingua che provoca una forte fuoriuscita di sangue. Le condizioni della piccola peggiorano, si decide un intervento e mamma e papà, un 36enne, vengono invitati a sedere in sala d’attesa dove aspettano per almeno tre ore. Ed ecco che la storia da banale si trasforma in un incubo.

Intorno a quella caduta si moltiplicano i sospetti. Il 7 marzo la bimba viene sottoposta a un esame ed è trovata positiva alla cocaina. Madre e figlia sono trasferite per 45 giorni («in assenza di ogni valido consenso» si legge nel ricorso dell’avvocato Mion) nella Casa del bambino maltrattato. Di più: la mamma è trovata positiva al tramadolo, un oppioide che costituisce il principio attivo di farmaci antidolorifici, dopoché entrambi i genitori sono stati sottoposti a test delle urine e dei capelli. La donna si difende: spiega che il tramadolo le era stato somministrato nell’ospedale di Mirano in occasione del ricovero per il parto cesareo. E anche il papà respinge ogni accusa, portando le testimonianze di parenti e amici. Niente da fare.

Il 17 e il 31 marzo dall’ospedale sono trasmesse alla procura del tribunale dei Minori due segnalazioni. E il 9 aprile il tribunale minorile di Venezia emette un decreto per sospendere la responsabilità genitoriale nei confronti bimba, trasferita in una comunità a partire dall’11 aprile. Non da sola, ma con la mamma. Un provvedimento devastante per il rapporto di coppia che viene compromesso con la separazione, sia pure momentanea. La procura minorile apre un’inchiesta (senza indagati) e nomina un consulente medico legale, il dottor Silvano Zancaner. Medico che, nella sua relazione, conclude per la “riabilitazione” dei genitori. L’esperto scrive che la lesione linguale della piccola si deve ricondurre a una caduta accidentale, come sempre raccontato dalla madre, «non essendo presenti dati obiettivi di competenza medico legale che suggeriscano una ipotesi alternativa». E la contaminazione da cocaina? Scrive l’avvocato Mion nel ricorso: «... il tecnico non esclude che sia avvenuta proprio in ambiente ospedaliero». A maggio viene cancellata la revoca della potestà genitoriale e il 21 novembre l’indagine va in archivio. Per i genitori l’incubo finisce. Sulla carta. Ma le ferite, profondissime, restano. —

Cristina Genesin

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