Antonio, calzolaio al Lido «Cerco qualcuno cui insegnare il lavoro»

«Ho alle spalle oltre sessant’anni di lavoro, sarei triste se una volta in pensione la mia esperienza da calzolaio fosse dispersa. Per questo mi metto a disposizione per chi ha davvero voglia di imparare il mestiere». Antonio Moressa, 72 anni, al Lido è rimasto l’ultimo a riparare scarpe. Nell’ultimo mese un’operazione al ginocchio l’ha costretto a casa e all’ospedale per la riabilitazione. E tanto è bastato perché nell’isola si diffondessero voci preoccupate per il futuro della storica bottega in via Sandro Gallo, gestita insieme alla sorella Rosalia e alla figlia Anna. «A chiudere non ci penso proprio. Mi spinge ancora una passione fortissima», spiega. La stessa che mosse suo padre, Alessandro, a trasferirsi nel ’42 dalla Riviera del Brenta al Lido per aprire il negozio di scarpe dentro un seminterrato. L’odore del cuoio e della colla da scarpe, i due fratelli l’hanno respirato fin da piccolissimi. Erano anni in cui il Lido, da solo, contava quasi una ventina di calzolai. «Si faceva tutto a mano», spiega Moressa, «Ma già dai primi anni ’60, con le scarpe industriali, il lavoro iniziava a diminuire. Oggi ormai si comprano modelli sintetici, usa e getta». Un calo di botteghe costante e inesorabile, tanto che oggi quel civico 51 di via Sandro Gallo è l’unico di tutta l’isola dove i quindici mila residenti del Lido portano ad aggiustare le scarpe. Il lavoro, però, non manca: sono oltre un centinaio le riparazioni che Moressa compie nell’arco di un mese. E dalla classica suola da cambiare al soprattacco da rifare, ormai si è specializzato anche nell’aggiustare borse in pelle, sedie e oggetti d’antiquariato. «Non posso accettare di fare male un lavoro», mette in chiaro, «e non so dire di no”. Vale per i clienti, meno per chi si mette in mezzo al suo lavoro. I medici, ad esempio. Dopo l’intervento al ginocchio, gli era stato sconsigliato di tornare in bottega. Eppure Moressa, a costo di qualche gonfiore serale, dalle 4 di pomeriggio è seduto sul suo sgabello dietro al bancone a smaltire il lavoro arretrato. «Mi dispiaceva paralizzare il Lido», spiega, «c’erano clienti che avevano bisogno di rialzi ortopedici». Ora però, la ricerca di nuove leve si fa sempre più urgente. Per questo si rivolgerà agli istituti professionali, alla ricerca di eredi a cui insegnare l’arte del calzolaio: «Attenzione», mette in guardia, «senza ricambi, oltre al calzolaio scompariranno anche i sarti, i fornai e tutto il patrimonio dell’artigianato locale». —
E.P.
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