Annuncia il suicidio su Facebook, poi si spara alla tempia

ZERO BRANCO (TREVISO). «Addio... Non ce la faccio più». Poche parole sul proprio profilo Facebook, seguite da tre faccine tristi, che annunciano un tragico destino. Ha deciso di accomiatarsi da chi lo conosceva in questo modo, alle 16.52 di mercoledì 21 dicembre, Marco Favaro, cinquantenne originario di Spinea, il gestore della pizzeria paninoteca “Al Settimo Cielo” sulla Noalese a Zero Branco.
Anche il figlio di 14 anni ha appreso da Facebook, rispondendo ad alcuni messaggi allarmati, che qualcosa di grave era successo al padre. Il barista l’ha fatta finita all’interno del proprio locale, sparandosi un colpo di pistola alla testa, seduto sulla sedia del tavolo dove, fino ad un anno e mezzo fa, era solito consumare pranzo e cene assieme all’amata moglie, Morena Voltan, scomparsa nel giugno del 2015 a causa di un male incurabile.
È proprio la morte della moglie ad avergli minato l’esistenza e ad averlo gettato nella spirale della depressione, sfociata, poi, nel tragico gesto di ieri pomeriggio.
È stato questo post pubblicato sulla propria pagina Facebook ad allarmare gli amici di Marco Favaro. Quell’addio dato pochi minuti prima delle 17 ha indotto alcuni amici a chiamare i carabinieri della stazione di Zero Branco.

Immediatamente, sul posto è arrivata una pattuglia dell’Arma. All’esterno del locale, c’era anche una dipendente che avrebbe dovuto aprire la pizzeria. Il corpo senza vita del gestore della pizzeria è stato scoperto poco prima delle 18. Favaro aveva deciso di farla finita sedendosi al tavolo dove, fino al giugno dell’anno scorso, era solito mangiare assieme alla moglie Morena.
Si è sparato un colpo di pistola alla tempia. Un ultimo disperato gesto in un luogo simbolico. Chi lo conosceva parla di un uomo che, dal giorno della morte della moglie, stroncata da un cancro, era caduto in una profonda spirale depressiva.
Da quando era mancata, Favaro pubblicava con cadenza mensile un post di ricordo alla moglie. Nel giugno scorso, aveva ricordato con un ampio intervento su Facebook la morte di Morena e, pochi giorni fa, aveva pubblicato la foto della moglie con i suoi due figli seguita da tre parole “Mi manchi tanto”. Marco Favaro lascia due figli, uno di 14 anni e l’altra di appena 6.
Diretta Facebook. La morte è un pugno sullo stomaco mentre il pollice scorre distratto lo schermo dello smartphone, fermo sulla home di Facebook. E’ quel post che si mischia in mezzo a centinaia di messaggi degli amici, immagini di alberi decorati, foto e video curiosi dei propri “amici” virtuali. .
Vituale e reale. Lo scroll del mouse torna indietro, si legge e si rilegge quella frase. Virtuale e (tragicamente) reale si fondono. E la morte va in diretta, senza che sia possibile capire, almeno in questa fase, se abbia accelerato l’arrivo dei soccorsi, se abbia lenito il dolore di qualcuno. Quella frase, i suoi 340 amici l'hanno visto recapitata in tempo reale sul proprio pc o sullo smartphone con cui si stavano distraendo. Tra quei 340, anche uno dei suoi figli. Un dramma nel dramma.
Le reazioni. La morte in diretta congela la capacità di decidere degli amici virtuali di Favaro. Mentre sotto quel post si alternano messaggi e domande, l’uomo preme il grilletto per davvero. I primi a rispondere sono due amici: «Scherzi?», «Marco, no sta far el mona e ciamime».
E poi la ridda di scelte. Fatte, non fatte, solo suggerite. «Chiamate subito la polizia», «i carabinieri», «telefonategli al cellulare». Le risposte: «Non risponde», «La linea è occupata», e ancora «cercatelo», in pizzeria, a casa, per strada, addirittura «nei luoghi in cui lui e Morena andavano da fidanzati», e oggi che Morena non c’è più ed è quasi Natale forse è solo un attacco di nostalgia struggente.

Suo figlio su Facebook. I minuti, le ore passano e non arrivano risposte. Arrivano, invece, i messaggi del figlioletto, anche lui su Facebook. E sono post che stringono lo stomaco. Anche lui sta cercando il suo papà, e anche lui si affida al social network per cercare di reperire qualche informazione in più. Qualche speranza. Una parola di conforto.
Chi bisogna chiamare? «Sono tornato da scuola e non c’era», scrive il figlio. Qualcuno (è già passata più di un’ora dal post di Favaro) gli chiede «chi bisogna chiamare», lui risponde «non lo so», qualcuno dice di aver già allertato le forze dell’ordine, e allora adesso non resta che aspettare, con il piccolo c’è la nonna, e anche questo lo dice lui stesso, a tutti, in diretta.
"Troppo tardi". Un’amica di Favaro accende una fiammella di speranza: «E’ in pizzeria e stanno già arrivando i carabinieri», il figlio risponde: «E’ in pizzeria?», ma è un’illusione che muore subito. Un’illusione stroncata dalle stesse parole del ragazzo poco dopo, che con una buona dose di coraggio e tanto sangue freddo informa i suoi contatti virtuali: «Troppo tardi» .

"Lo hanno trovato". Favaro è stato trovato senza vita nella sala da pranzo della sua pizzeria di Zero Branco, pare abbia deciso di andarsene per sempre mettendosi seduto al tavolo su cui di solito cenava con la moglie Morena. Il loro figlioletto ha perso la mamma in una mattina d’estate del 2015, è il primo giorno d’inverno del 2016 quando qualcuno lo informa che ora dovrà andare avanti anche senza il papà. E lui, sotto choc, ma con una sorta di freddo senso del dovere, informa ancora una volta tutti, ancora una volta su Facebook: «Lo hanno trovato si è sparato», scritto così, di getto, un singhiozzo.
Riti profani. Il flusso di commenti sotto il post di Favaro non si è mai arrestato. Una sorta di grande rito profano prima del rosario, prima del funerale. Centinaia di commenti, uno dopo l’altro, addolorati, increduli, depressi.
Ora sono di nuovo insieme. Il pensiero di tanti, quello più consolatorio se mai potesse esserlo, è che ora Favaro è di nuovo insieme alla moglie persa un anno e mezzo fa, in cielo. «Da lassù aiuta i due bimbi», «Marco cos’hai fatto, eri uno dei più forti della compagnia», «Che tu possa trovare la pace che non hai mai trovato qui».
Il grido d'aiuto. La pagina Facebook sommersa di commenti sarà materiale, forse, anche per le forze dell’ordine, per capire se quell’annuncio in diretta abbia in qualche modo agevolato i soccorsi, o se al contrario si sia trattato di un grido d’aiuto che nel mondo virtuale ha perso la voce.

PAOLO CREPET. Il professor Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, osserva da tempo il modo in cui la nostra società interagisce e di recente ne ha fatto un libro “Baciami senza rete”, edito da Mondadori, in cui analizza l'impatto di Internet nelle relazioni umane. Non accusa la tecnologia ma invita a usare il buon senso. E a sedersi a tavola, in famiglia, per parlare.
«Questa vicenda dimostra la distorsione con cui percepiamo e adoperiamo i social: diamo loro in pasto la nostra vita e assistiamo inerti a quella degli altri. Ormai siamo diventati dei tossicodipendenti da digitale e qualsiasi cosa della nostra quotidianità finisce in questo calderone. Mi fidanzo e lo metto su Facebook, mi lascio e posto l'informazione, con la stessa facilità con cui mi accordo con le amiche per andare al cinema. La deriva ci ha portato a mettere sui social anche le cose più drammatiche della nostra vita e nessuno sembra chiedersi come si fa a dare una simile importanza a una bacheca virtuale. Si è perso il senso della misura, i social network vengono visti in modo totalizzante. Nessuno sembra considerare che non possiamo metter la vita con V maiuscola sui social».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia