Alunni stranieri in classe: stabilito il tetto del 30%

MESTRE. «Allo scopo di assicurare un equo accoglimento degli alunni, con particolare riguardo a quelli con ridotta conoscenza della lingua italiana, si indica l’obiettivo del 30% per ogni classe, previsto dalla circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 2/2010, quale percentuale di alunni che potranno essere accettati al momento dell’iscrizione e quale percentuale da mantenere in corso d’anno, fatte salve le deroghe previste dalle norme vigenti. Nei primi due anni scolastici di applicazione del protocollo, il predetto obiettivo sarà elevato al 40%». Tetti al numero di studenti di origine migratoria (termine che indica sia i ragazzi di seconda generazione, nati qui, sia quelli arrivati dall’estero con i genitori) nelle classi veneziane. Per ridurre la pressione educativa, legata alla loro presenza massiccia in classe.

Percentuali “elastiche” e non certo rigide, frutto di una intesa raggiunta ieri in Prefettura a Venezia tra il prefetto Carlo Boffi, l’assessore comunale Simone Venturini, la direttrice dell’Ufficio Scolastico Regionale Daniela Beltrame e la Dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Venezia Mirella Nappa (che ha sostituito Domenico Martino, in pensione da gennaio). Tappa conclusiva, spiega un nota della Prefettura, di un «approfondito lavoro volto alla redazione di un Protocollo d’intesa per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni di origine migratoria» nelle scuole della città. Il Protocollo sarà firmato nei prossimi giorni dopo l’adozione da parte dei vari enti, ed entrerà in vigore per l’anno scolastico 2018/2019, dal prossimo settembre.

Porre un tetto significa spostare gli alunni stranieri, riducendo il loro numero nelle classi? «Scordatevi che questo significa dare il via a trasferimenti di alunni perché non si tratta di spostare nessuno tra gli alunni già iscritti ma di gestire meglio le iscrizioni di alunni di origine migratoria che avvengono ad anno scolastico iniziato o la formazione delle prime classi o le scelte conseguenti alla non formazione di una classe. Dobbiamo garantire il successo scolastico di tutti e la migliore integrazione», ribadisce con forza la Beltrame. «Comune, Regione e ufficio scolastico danno un supporto alle scuole e noi faremo intervenire i nostri mediatori culturali per rapportarci con le famiglie», precisa l’assessore Venturini, «ma non si impone nulla. Si dialoga con le famiglie per indirizzarli nella scelta dell’istituto, spiegando quali sono i servizi a disposizione, come i trasporti».
Nelle scuole più in difficoltà, tutte della terraferma, si contano 2.607 alunni stranieri su 8.100. Dieci istituti sono in prima linea: con lamentele dei genitori italiani, preoccupati per il percorso didattico dei figli e compagni che devono prima imparare l’italiano per poi comprendere le altre materie, ma «anche di famiglie straniere che chiedono una maggiore integrazione e formazione», precisano Beltrame e Venturini. Alla Giulio Cesare di Mestre, su 997 iscritti ci sono 635 stranieri, il 63% e ci sono classi con quasi nessun ragazzo italiano. Alla Querini il rapporto è del 51%; alla Grimani di Marghera del 49,7%.
Il protocollo vuole assicurare la «formazione di tutti gli alunni, favorendo i processi di integrazione, attraverso un’equa distribuzione» degli alunni nelle scuole del Comune, «allo scopo di garantire pienamente il diritto di accesso al sistema scolastico». Obiettivi dichiarati: facilitare l’inclusione, ribadire il diritto immediato degli alunni di famiglie appena arrivate in città che eviti «il rischio di avvii ritardati della frequenza, attraverso prassi condivise tra le diverse Istituzioni scolastiche, finalizzate alla realizzazione di un’accoglienza diffusa e il più possibile equilibrata». Sostenere l’apprendimento dell’italiano; «valorizzare la diversità linguistica e culturale; prevenire il fenomeno dell’elevata concentrazione in alcune scuole di alunni di origine migratoria e coinvolgere le famiglie nel progetto educativo per i loro figli». Ed evitare, ovviamente, che alcune scuole finiscano con l’essere considerate delle “scuole ghetto” o vedere famiglie italiane scegliere l’istruzione non statale, il protocollo prevede «progetti integrativi dell’offerta formativa, (. . .) al fine di qualificare maggiormente gli istituti ed offrire un ventaglio più ampio di servizi e percorsi».
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