A Dolo medico si ammala, guarisce e torna a curare i pazienti Coronavirus

Viaggio nel Covid hospital: la storia del geriatra Flavio Busonera, nipote dell’eroe della Resistenza cui è intitolato lo Iov  
I primari di Medicina Interna, Moreno Scevola, e di Geriatria, Flavio Busonera, in servizio al Covid hospital
I primari di Medicina Interna, Moreno Scevola, e di Geriatria, Flavio Busonera, in servizio al Covid hospital

DOLO. Sono passati 278 giorni dal 22 febbraio, il giorno che ha visto entrare il primo paziente positivo al coronavirus all’ospedale di Dolo, la struttura che sarebbe poi stata ribattezzata (e strutturalmente riconvertita) “Covid hospital”.

Da quel giorno, non è trascorso un minuto senza che l’edificio ospitasse almeno un paziente ancora contagiato. Con il minimo che è stato toccato il 6 e il 7 agosto: tre ricoveri. Ieri mattina erano 159, di cui 14 in rianimazione.

Una prova di resistenza, che non ha pari in tutta la provincia, e che si misura in più di nove mesi al fronte.

Tra i volti di questa battaglia c’è il primario facente funzioni di Geriatria, Flavio Busonera, che si è ammalato di Covid, è guarito ed è tornato a combattere a fianco dei suoi pazienti. Buon sangue non mente, del resto: il nonno, suo omonimo, era il medico partigiano di Cavarzere impiccato dai fascisti a Padova nell’agosto del 1944. A lui è intitolato lo Iov, l’ospedale oncologico regionale.

Con Busonera, i suoi 28 colleghi medici specialisti che si dividono tra i tre reparti del monoblocco Covid: la Medicina interna, la Pneumologia e la Geriatria. Quest’ultima guidata proprio da Busonera: «Sono stato in uno di questi letti, dentro a una stanza di degenza come questa. E so cosa si prova» la testimonianza del primario. «Ho guardato in faccia il nemico, sono guarito e sono tornato a lavorare con più consapevolezza».

Il maxi reparto Covid dell’ospedale di Dolo si compone di tre piani. Gironi danteschi invertiti, perché più si sale e più aumenta l’intensità di cura. Al secondo piano ci sono i letti standard di Geriatria, al terzo quelli ad alta intensità di cure di Medicina interna e al quarto i semintensivi di Pneumologia. Per un totale di 144 posti letto Covid, di cui 34 ad alta intensità di cura e 14 (implementabili) semintensivi, attrezzati per il monitoraggio continuo. «Le aree Covid dell’Usl 3 e le terapie intensive sono i reparti maggiormente interessati dalla pandemia», spiega il direttore generale dell’Usl 3, Giuseppe Dal Ben, «e nella seconda ondata sono state attrezzate con strumentazioni ancora più performanti, per rispondere alle esigenze dei nuovi pazienti, specialmente i più gravi». E quindi ventilatori, generatori d’alto flusso d’ossigeno, maschere nasali e “full faces”. Una configurazione che in parte ripete quella della prima ondata. Ma a cambiare è la vita, tra quei corridoi, tra quelle stanze. Rispetto alla primavera, l’età media dei pazienti è salita da 71 a 75 anni.

Nelle ultime tre settimane, Geriatria è arrivata ad accogliere 54 anziani positivi, venendo così inglobato nel monoblocco dell’ospedale. Tra i più recenti pazienti, un 90enne che, dopo il ricovero in terapia sub-intensiva, è guarito ed è potuto tornare a casa.

Da inizio marzo dal Covid hospital di Dolo sono transitate 354 persone, 189 uomini (con un’età media di 72 anni) e 165 donne (età media, 81 anni). Nel 60% dei casi presentavano delle malattie cardiovascolari, nel 30% il diabete, il 20% una neoplasia e il 7% soffriva di obesità.

Il periodo di permanenza in ospedale è estremamente lungo: 25 giorni. Mentre l’età media dei guariti, dimessi, è di 69 anni. «C’è un avanti Covid e un dopo Covid, perché niente, in medicina, sarà più come prima» ammette Manuele Nizzetto, primario di Pneumologia. «Gli architetti che hanno costruito gli ospedali in tutto il mondo negli ultimi 20 anni non immaginavano di doverli strutturare per far fronte logisticamente a un’epidemia respiratoria». Conferma Moreno Scevola, primario della Medicina interna: «In questi mesi non ci siamo mai fermati e abbiamo sempre lavorato tra noi in maniera interattiva. Da quando abbiamo capito che saremmo diventati ospedale Covid, abbiamo implementato il confronto interdisciplinare tra le diverse specialità». —



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