Gli ottant’anni del maestro di scherma Rocco Lamastra

Da una vita a bordo pedana per far crescere i talenti del Dielleffe Venezia: «Non li sento e vorrei gareggiare ancora. Questo sport è cambiato, la mia passione no»



Il maestro Rocco Lamastra ha 80 anni, dei quali 55 vissuti a bordo pedana a insegnare scherma. Una autentica istituzione a Venezia dove, da 35 anni, è la figura di riferimento del Dielleffe. Un'avventura iniziata nel lontano 1964, sotto le armi, quando vide dei colleghi in divisa bianca che si allenavano. «Ero alla Brigata Missili di Vicenza, e facevamo esercitazioni tutti i giorni» ricorda Lamastra, originario di Roma, «chiesi a quei commilitoni cosa stessero facendo, e mi spiegarono. Potevo finire a fare il maresciallo in cucina o agli armamenti, invece la scherma cambiò la mia vita. Andai a Orvieto e dopo due anni terminai il corso. Poi arrivò anche il diploma a Napoli».

Quattro anni da istruttore militare, poi le sale civili.

«Sì, andai con i militari a insegnare alla Virtus Bologna, poi Circolo della Spada a Venezia e nel 1971 lo sbarco al CS Mestre dove c'era Di Rosa. Undici anni intensi e speciali al suo fianco, poi a Como e nel 1985 iniziai la mia storia al Dielleffe Venezia».

Cosa spinge a 80 anni a stare a bordo pedana?

«La voglia di crescere nuovi talenti e vedere cosa riusciranno a fare. Non sono tipo da mettermi a giocare al circolo anziani a Scala 40, mi sento ancora utile per i ragazzi. Avere programmi e guardare avanti non fa invecchiare il cervello».

C'è anche passione...

«Quella è importante, il ritorno c’è, mi rendo conto che magari tolgo un posto ai giovani, ma sapete che è splendido vedere i progressi dei bambini in pedana? Getti il seme nel terreno e, se è fertile, attecchisce. Ora insegno tecnica più che tattica di gara. Un aspetto che allunga la carriera agli atleti».

Una carriera piena di soddisfazioni, la sua.

«Sì ma non faccio classifiche. Penso alle gioie arrivate con i vari Tognolli o Bonometto a livello internazionale, ma anche quelle dei piccoli non sono da meno. Una vittoria è sempre una vittoria».

Come è cambiata la scherma in questi anni?

«Io mi sono adattato ai tempi, i ragazzi invece sono cambiati. Hanno sempre la stessa voglia e molte più distrazioni, come i telefonini...».

A livello di gara?

«Oggi i ragazzi sono molto più atleti. Tenere una serie di assalti a 15 stoccate li prosciuga, quindi il peso della preparazione atletica ha assunto un ruolo primario».

Le manca non salire più in pedana da atleta?

«Tantissimo. All’ultimo campionato Maestri (2000 a Fiuggi), ho regalato la coppa a un ragazzo e ho detto basta. Con le gare Master la voglia c’è sempre, ma un problema all'anca non me lo permette più».

Parliamo di Di Rosa?

«Sono stato suo allievo ed è stato un amico, e ricordarlo è bene: è stato un grande».

La scherma di oggi si sta globalizzando?

«Certo e alla fine è un bene, perché cresce tutto il movimento. Basta vedere gli Stati Uniti, non so neppure dove trovino tutti i soldi che investono nella scherma. Allora il maestro deve arrovellarsi il cervello per trovare nuove tecniche e soluzioni, lavorare in sala e studiare a fondo. In Italia siamo fortunati che dentro di noi abbiamo la genialità che ci aiuta, e non siamo ripetitivi come i russi o altri. Così ci salviamo sempre».

A Venezia oggi manca il campione.

«Va a generazioni, non sempre può succedere qualcosa come a Mestre tra Borella, Numa e gli altri. Ora al Dielleffe abbiamo tante ragazze e qualche maschietto. Chissà...».

C’è tanta concorrenza per iscrivere nuove leve?

«Tantissima, il calcio femminile con il boom che sta avendo ci ha tolto molto. Tutte le bambine vogliono giocare a calcio, ne abbiamo perse anche noi la scorsa estate».

Tra poco il Dielleffe festeggerà i primi 50 anni.

«Un grande traguardo, penso a Mario Venturini che ne fu l'anima agli inizi. La scherma a Venezia era identificata in lui; ha portato la Coppa del Mondo di fioretto; ha portato gente, economia, e la città deve qualcosa al Dielleffe».

La scherma le ha cambiato la vita?

«Sicuro. Oggi alle gare siamo solo due-tre maestri della mia età, tutti reduci dai corsi militari di Orvieto. E poi c'è Giorgio Scarso, che si diplomò un anno dopo di me, e che da anni è il presidente della Federscherma. Noi “militari” siamo entrati nella Federazione all'epoca, e siamo orgogliosi dei risultati ottenuti nel corso degli anni. Abbiamo fatto grandi cose grazie all'intuizione del generale Aloia che istituì quei corsi negli anni Sessanta». —



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