Il Patriarca Moraglia ricorda Papa Francesco: «La sua eredità è lo sguardo verso i fragili»

Dalla visita a Venezia nel 2024 al ricordo personale di un Papa che si è fatto prossimo agli ultimi. Il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia racconta il lato umano e spirituale di Bergoglio

Eugenio Pendolini
Il Papa a Venezia con il Patriarca
Il Papa a Venezia con il Patriarca

Due foto di Papa Francesco e del Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, sono appese proprio all’ingresso della Sala Tintoretto, nel palazzo Patriarcale di San Marco. Risalgono al primo incontro tra i due, uno scambio di doni e saluti a piazza San Pietro a Roma, nei mesi immediatamente successivi all’incarico affidato dai cardinali in conclave a Jorge Bergoglio nel 2013.

Il patriarca di Venezia ricorda Papa Francesco: "Porterò nel cuore la sua cordialità"

È qui, all’interno della prestigiosa sala, che appena un anno fa il Patriarca di Venezia e i rappresentanti della curia veneziana, ufficializzavano la prima visita a Venezia di Papa Francesco. Ed è qui che ieri il Patriarca Moraglia, appena due ore dopo la notizia della morte del pontefice, incontra la stampa per testimoniare il lascito del papa argentino, per raccontare l’uomo Bergoglio dietro l’abito talare e per ripercorrere quella giornata del 28 aprile del 2024 destinata a restare incisa nella storia di Venezia e del Veneto.

Patriarca Moraglia, quali sono state le sue sensazioni alla notizia della morte del Papa?

«Ho appreso la notizia in parte come una grande sorpresa proprio perché l’avevamo visto tornare a una certa ordinarietà, anche se era molto sofferente. Al tempo stesso purtroppo si è verificato quello che temevamo, perché da mesi veramente le sofferenze del papa erano visibili nel suo modo di parlare, nel suo modo di faticare anche nel dare il gesto della benedizione. La notizia della morte è stata davvero una sorpresa perché pensavamo che la sua salute stesse costantemente migliorando».

Ci racconti un ricordo personale di un papa il cui lato umano è stato un tratto caratterizzante di tutto il suo pontificato.

«Sono tanti i ricordi che mi tornano in mente, risalenti ad esempio anche all’incontro organizzato dal pontefice con i vescovi del Triveneto. Ma c’è un ricordo personale che mi porterò sempre dentro. Si riferisce al momento conclusivo della visita a Venezia, un anno fa, quando prima di salire a bordo dell’elicottero per fare ritorno a Roma, nel cortile della casa penitenziaria femminile della Giudecca, il Papa mi ha chiamato per ringraziarmi. Mi ha detto: “Ti ringrazio perché mi avete accolto bene, mi sono sentito ben voluto”. Mi ha colpito che un Papa, che dovunque vada è accolto in chiesa come dev’esserlo un padrone di casa, abbia avuto questo sguardo così cordiale nel riconoscere quello che noi avevamo cercato di fare. Ci eravamo impegnati affinché la sua visita fosse vissuta come un incontro di famiglia, con il Padre».

Già un anno fa, l’uso della carrozzina testimoniava le fatiche di Bergoglio. Eppure, nonostante le difficoltà, non si era tirato indietro dall’impegno preso.

«L’altro momento che mi porterò sempre dietro ha a che fare con quegli istanti che ha trascorso di fronte all’altare principale della Basilica di San Marco, di fronte alla tomba dell’Evangelista, in cui sulla sedia a rotelle si è raccolto profondamente in un silenzio prolungato. La Basilica, le spoglie dell’Evangelista e soprattutto lui che in quel momento rappresentava il custode del Vangelo, lì di fronte come milioni di pellegrini durante l’anno a chiedere aiuto all’Evangelista Marco».

Un anno fa, nel corso della visita a Venezia, erano stati lanciati messaggi importanti all’umanità: dagli ultimi fino alle nuove generazioni e alla tutela della fragilità dell’ambiente. Cosa porta con sé di quella giornata?

«La visita era stata una sorpresa gradita perché ricordo che ero di ritorno da una celebrazione il 15 gennaio di quello stesso anno, quindi pochi mesi prima di una visita papale che solitamente viene preparata con un anno di anticipo. Invece ricordo che padre Leonardo Sapienza mi ha detto: “Se il Papa venisse a Venezia, saresti contento?”. Ho risposto che saremmo stati tutti più che contenti. Poi, come succede in questi casi, l’organizzazione aveva portato ad individuare insieme questa data del 28 aprile, con molta attenzione da parte nostra e da parte loro.

Una giornata intensa ma piena di emozioni, a cominciare dall’incontro con le detenute del carcere fino al bagno di folla a San Marco.

«La visita è durata sì poche ore, ma durante le quali la chiesa di Venezia ha potuto vedere da vicino il Papa, il quale aveva scelto di incontrare da vicino e per prime le persone detenute nel carcere femminile della Giudecca, una casa di reclusione dove si scontano pene definitive e prolungate. Non era un caso che il Papa avesse voluto inaugurare il padiglione della Biennale proprio in sua presenza. E poi la visita con i giovani e lo sguardo incredulo nello scoprire Venezia, città che non credo che conoscesse a fondo e dove non era mai stato se non, da quello che ho capito, una volta di passaggio verso la Germania quando era padre gesuita. La sua ammirazione per il ponte di barche nel raggiungere San Marco. E poi l’incontro in Piazza, per il quale abbiamo dovuto ridurre il numero di persone proprio perché il Papa aveva voluto dei camminamenti liberi per incontrare quelle persone che sarebbero state collocate lontane dall’altare. Lontane da lui. Traspariva anche in quell’occasione la sua volontà di stare in mezzo alla gente, che in fondo è anche l’eredità che ci consegna dopo le ultime ore del suo ministero petrino, durante le quali ha voluto fortemente tornare a San Pietro per la domenica di Pasqua».

Qual è dal suo punto di vista l’eredità e la lezione che ci consegna il suo pontificato?

«Certamente la capacità di guardare un mondo che è in sofferenza grande per certi motivi molto chiari a partire dalle guerre e dalla violenza unite alla mancanza di rispetto. E allo stesso tempo anche il desiderio di portare il Vangelo tenendo conto della fragilità delle persone, della fatica che molte volte le persone fanno per una storia di vita che hanno alle spalle e che in parte può dipendere da loro ma che in gran parte non dipende da loro. Ecco mi sembra che questo sia stato il tentativo che lui ha fatto sempre, in tutti questi intensi anni, parlando anche fuori dagli schemi abituali, con quell’immediatezza che però si vedeva che aveva una sua progettualità e un fine ben preciso».

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