Spot pubblicitario contestato con la Canalis, San Benedetto fa appello
Il colosso delle acque e bibite in bottiglia con sede a Scorzè ricorre contro la sentenza di primo grado del Tribunale che aveva dato ragione al portale online Il Fatto Alimentare. Nel mirino gli articoli che l’azienda ritiene diffamatori

San Benedetto ricorre in Appello contro la decisione del tribunale civile di primo grado che nel maggio scorso aveva stabilito che per gli articoli pubblicati nella rivista online Il Fatto Alimentare, in cui veniva criticata una serie di spot pubblicitari in cui compariva Elisabetta Canalis, non ricorrevano gli estremi della diffamazione. All’epoca il colosso di Scorzè aveva chiesto un risarcimento di 1,5 milioni.
I fatti sono del 2022. Nel mirino del quotidiano finisce uno spot che, per l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, «poteva suggerire un messaggio scorretto, attribuendo all’acqua minerale proprietà nutrizionali “preziose” non supportate da differenze reali rispetto ad altre acque». Dopo quelle osservazioni, San Benedetto modifica lo spot e ne dimezza la durata. Una decisione che viene raccontata dal portale online. Ne scaturisce una denuncia in sede civile con maxi richiesta di risarcimento. Nella sentenza, il tribunale civile di Venezia ribadisce che gli articoli pubblicati su Il Fatto Alimentare costituiscono piena espressione del diritto di critica giornalistica.
Le affermazioni contestate da San Benedetto, si legge nella sentenza, non sono diffamatorie, ma fondate «su “una lettura logica, ragionata e motivata dello spot». Ora San Benedetto ricorre in appello. Spiega il direttore del Fatto Alimentare, Roberto La Pira, in un articolo pubblicato online sulla testata specialistica: «La questione riguarda il diritto dei cittadini a ricevere informazioni su spot e messaggi pubblicitari censurati o soggetti a provvedimenti da parte delle istituzioni come l’Antitrust, senza il timore di vedersi recapitare azioni lega immotivate e pretestuose. La questione San Benedetto, ormai arrivata al quarto tentativo giudiziario, solleva domande legittime sul rapporto fra potere economico e libertà di stampa. Anche se sappiano di avere agito correttamente, il primo pensiero va alle spese legali da sostenere che esulano da ogni nostro orizzonte e che portano facilmente a pensare, anche solo per timore, di ritirare l’articolo e di evitare nel futuro certi argomenti».
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