Referendum, Silvestri (Fiom Cgil Veneto): «Il lavoro sia di nuovo al centro. Il quorum? Fattibile»

«L’invito di esponenti del governo Meloni al “non voto” non aiuta nel periodo di crisi

della democrazia rappresentativa»

Manuel Trevisan
Il segretario della Fiom Cgil Veneto, Antonio Silvestri
Il segretario della Fiom Cgil Veneto, Antonio Silvestri

L’8 e il 9 giugno in Veneto 3,7 milioni di aventi diritto sono chiamati alle urne per esprimersi sui 5 quesiti referendari su lavoro e cittadinanza promossi da sindacati e associazioni. Per il segretario della Fiom Cgil Veneto, Antonio Silvestri, si tratta di un momento fondamentale di democrazia in cui si potrà «diventare parlamentari per un giorno e decidere in modo diretto di cambiare lo stato delle cose».

Andare a votare è quindi importante?

«Assolutamente sì. I temi dei quesiti referendari mirano a ridare dignità al lavoro e alle persone, per contrastare la precarietà e gli infortuni mortali sul lavoro. Votando “Sì” invertiamo questa drammatica tendenza e rimettiamo al centro i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Inoltre, andare a votare è importante anche perché la democrazia rappresentativa sta vivendo un momento di crisi evidente, e l’invito di alcuni esponenti del governo Meloni, di andare al mare al posto di votare, non aiuta. Andare a votare è il vero antidoto per non smantellare la democrazia».

Come mai questo referendum fa tanta paura?

«Perché stiamo mettendo in discussione una cosa ben precisa: non vogliamo che l’unico punto di vista sia quello del mercato e che tutto il resto sia condizionato da esso. Vogliamo rimettere al centro i lavoratori e il lavoro. E questo preoccupa il Governo, che ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo, così come preoccupa le imprese».

Quattro quesiti su cinque riguardano appunto il lavoro. I primi tre mirano a rendere il lavoro meno precario. Di cosa si tratta?

«Con il primo quesito vogliamo superare il cosiddetto contratto a tutele crescenti. Se vince il “Sì”, in caso di licenziamenti senza giusta causa, dopo una sentenza del giudice, si ha diritto al reintegro nel posto del lavoro. Anche il secondo riguarda i licenziamenti ingiusti, questa volta nelle piccole imprese.

Vogliamo superare il tetto alle indennità in caso di licenziamento, oggi fissato a sei mensilità, per chi è stato licenziato ingiustamente nelle imprese sotto i 15 dipendenti. In entrambi i casi si introdurrebbe un deterrente per i licenziamenti senza una vera causa. Con il terzo, invece, chiediamo maggiori tutele per i contratti a termine. Ovvero che ci debba essere una motivazione reale, come ad esempio un picco di lavoro o la sostituzione di personale, per l’utilizzo di questa tipologia di contratti, in modo da contrastare una precarietà che è sempre più dilagante».

Il quarto riguarda appalti e sicurezza sul lavoro. In che modo è importante intervenire in questo senso, considerando soprattutto il triste primato italiano sulle morti sul lavoro?

«Non è tollerabile morire lavorando. L’appalto è uno strumento che viene spesso utilizzato per abbassare il costo del lavoro. Per questo, le aziende in appalto e subappalto, spesso piccole e piccolissime, non riescono a rispettare le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Con il “Sì”, la responsabilità l’avrebbe l’azienda che appalta i lavori. In questo modo ci sarebbe un maggiore controllo in tutta la filiera produttiva e, quindi, più sicurezza per le lavoratrici e i lavoratori».

Infine, il quinto riguarda la cittadinanza. Con il “Sì”, i cittadini stranieri che vivono e lavorano legalmente in Italia potrebbero fare richiesta per la cittadinanza, non dopo dieci anni, bensì dopo cinque.

«Precisiamo che alla fine non sono mai dieci anni, ma talvolta anche dodici o tredici. Penso sia una norma di civiltà, perché parliamo di persone che vivono e lavorano in questo Paese e che pagano le tasse proprio come noi: perché devono attendere un’infinità di tempo per godere dei nostri stessi diritti? Inoltre, penso che anche questo quesito sia collegato al tema del lavoro, perché toglierebbe dal ricatto legato alla necessità di possedere un contratto di lavoro per avere il permesso di soggiorno una fascia importante di popolazione».

Perché il referendum sia valido, deve raggiungere il quorum, ovvero devono andare a votare il 50% + 1 degli aventi diritto. Pensa sia un risultato raggiungibile?

«Nelle ultime settimane, abbiamo visto un interesse sempre maggiore, nonostante la mancata copertura mediatica, soprattutto della televisione pubblica. Sono positivo e penso si possa raggiungere il quorum. Al netto di questo, penso che questa campagna referendaria sia stata importante soprattutto perché ha permesso di rimettere al centro del dibattito il tema del lavoro e dei diritti».

Dopo il referendum, le battaglie del sindacato continuano: il 20 giugno ci sarà lo sciopero dei metalmeccanici.

«Ci stiamo mobilitando per il contratto nazionale, perché le associazioni datoriali metalmeccaniche non sono disponibili ad aprire un tavolo di trattative e ascoltare le richieste dei lavoratori. Vogliono andare avanti per la loro strada. Noi sciopereremo finché non ci ascolteranno».

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