Quelle durissime prove per il Nordest

Cina, Torri gemelle, euro: sembra la fine ma crescono nuove imprese leader
Anni Novanta-Duemila: gli anni eroici del successo del modello nordestino di sviluppo, con quei dati statistici che segnano il boom senza precedenti di un’ area povera industrialmente, sono ormai un ricordo. Troppo semplice correre con tassi a due cifre quando si esce dal sottosviluppo, con imprenditori agguerriti, pronti, con la loro inventiva e la loro «fame » a correre per fare schei, magari aiutati da svalutazioni della lira a ripetizione.


Arrivano gli anni duri dei cambiamenti, della verifica delle capacità di un modello di sviluppo e di una generazione di imprese di resistere alle congiunture di mercato e di trasformarsi, come sono stati quelli che hanno segnato il passaggio del secolo. E sono anni duri: tra l’avvento dell’euro, la crisi mondiale seguita all’attacco delle Torri Gemelle, l’ingresso in forze della Cina sui mercati occidentali, a fare da concorrenza proprio a quelle produzioni del made in Italy che avevano fatto ricco il Nordest. Oggi sembrano piccole cose rispetto alla paralisi che ha fermato tutto il mondo. Ma è in questi anni che si gioca una delle prove piu dure per il Nordest e i suoi imprenditori. La Cina sembra un mostro inaffrontabile, le aziende chiudono per la concorrenza, spesso sleale: migliaia di posti sono a rischio.


Il cambio dell’euro, morde un sistema produttivo abituato a ritrovare il suo equilibrio con il deprezzamento della moneta. Lo sviluppo si fa piu lento, faticoso. Qualcuno grida alla fine del miracolo del Nordest: quel miracolo che dal 1991 in poi aveva fatto triplicare le esportazioni e che, oltre che con la fine delle svalutazioni competitive e la Cina, deve fare i conti con l’introduzione della tecnologia che rivoluziona l’organizzazione di imprese. Ma tra gli urli e gli strepiti si consuma una rivoluzione silenziosa: il modello si trasforma e resiste. Crescono una serie di imprese leader sul territorio che mostrano di poter competere a livello internazionale anche con fatturati modesti rispetto a multinazionali consolidate.


Altre raggiungono dimensioni del tutto ragguardevoli e si affermano come leader mondiali nei loro prodotti. Le testimonianze sono oggi sul campo: si può partire, ad esempio, dalla vicentina Dainese che, cominciando ad avere successo nell’abbigliamento da motociclista, oggi ambisce a ideare tute tecnologiche per consentire agli astronauti del futuro di sbarcare su Marte. O dalla forse meno tecnologica Geox, che, tuttavia, ha fatto di una membrana che consente il passaggio dell’umidità e non dell’acqua, un impero commerciale che vende scarpe di moda, sportive con propaggini nell’abbigliamento.


Si possono seguire le evoluzioni di piccole aziende, partite dal basso producendo prodotti di consumo, diventate gruppi multinazionali a livello mondiale nel campo dell’occhialeria, come la Luxottica, o in quello dell’abbigliamento, e adesso infrastrutture e ristorazione, come la Benetton- Autostrade Autogrill. Altre imprese imparano e digeriscono le regole della comunicazione e della distribuzione, creando marchi e reti su prodotti che una volta erano stati dati per morti e sepolti dal quadro delle economie sviluppate.


Lo fa la Diesel, affermandosi in tutto il mondo con i jeans, lo fa il gruppo Calzedonia che reiventa un prodotto obsoleto come l’intimo, facendone un network internazionale di marchi differenziati. Dietro di questa nuova era c’è un riassetto produttivo che vede un internazionalizzazione spinta delle aziende che, oltre a vendere, producono in mezzo mondo con una filiera di fornitori legati in maniera stretta. Gli appassionati della politica potranno anche ritrovare i segni di questo successo nella forte rappresentanza che oggi ha questo modello, con ministri e istituzioni che hanno un’attenzione una volta impensabile alle piccole e medie imprese.


Oppure paragonando le discussioni sul futuro del nostro sistema industriale, oggi centrate tutte su questo sistema di medie imprese, ormai riconosciuto come la spina industriale del Paese. Se non fosse per la Fiat in campo privato, l’Eni la Finmeccanica e Telecom e qualche altro in campo ex pubblico, della grande industria degli anni ottanta non rimarrebbe nulla.


Molti dei nuovi grandi gruppi privati nascono qui, a Nordest, segnando una discontinuità rispetto ai grandi progetti Paese più o meno «gestiti » dal centro, come il Petrolchimico di Porto Marghera, e marcando il successo di un modello che ha qui le sue radici.


Oggi questo deve fare i conti con un’altra crisi difficile, che impone lungimiranza nei modi di vedere il futuro non solo produttivo, ma anche del territorio che lo ha ospitato e che oggi è parte integrante del suo sviluppo. La tentazione, come fu ai tempi della Cina, di chiudersi su se stesso è sempre dietro l’angolo e quella di riuscire ad essere un esempio produttivo e politico capace di trascinare il Paese è la vera sfida dei prossimi anni.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia