"Ma questo è razzismo alla rovescia"

Il sociologo Aldo Bonomi analizza i messaggi del forum. "Giudicati con il metro dell'etnia, lo stesso di cui siamo accusati"  
MESTRE. Infine, è accaduto l'inevitabile. Dopo le prime ore passate silenziosamente sotto attacco, i veneti hanno detto basta, hanno fatto irruzione in massa nel web e hanno fatto sentire, fortissima, la loro voce. «Non siamo come ci descrivete» hanno voluto dire, in varie forme, a chi li accusava di ignoranza, cinismo, razzismo per la vicenda del giovane bosniaco annegato. Dalla pietà, il confronto si è spostato sulla difesa delle proprie radici; un fenomeno che analizziamo con l'aiuto del professor Aldo Bonomi, sociologo esperto di fenomeni legati all'economia e all'immigrazione, presidente della Fondazione Venezia 2000.


Professor Bonomi, il dibattito che si è scatenato nel web non può lasciare indifferenti. Per la vicenda del giovane Dragan, tutta Italia ci è venuta addosso
«Il punto di partenza di questa discussione è legato alla migrazione, e il tema della migrazione, drammaticamente, oscilla sempre tra due polarità che muovono passione. Da un lato il rancore, che conosciamo bene e che è sempre presente da quando il fenomeno riguarda la società italiana, dall'altro l'accoglienza e i buoni sentimenti. Entrambe queste passioni sono vissute con forza».

In questa maniera, si scatena ogni volta il fenomeno
«Certo, ed entrambe hanno le loro ragioni di essere. Il rancore, che si giustifica soprattutto con questioni legate alla sicurezza; i buoni sentimenti, che si manifestano con forza in casi come questi. Ma le cose non si conciliano: ci accaniamo contro un campo profughi e ci addoloriamo per la morte di questo giovane. Gli uni e gli altri vengono dalla stessa storia, ma noi accettiamo di vedere l'umanità del bosniaco solo quando c'è il sacrificio. In un caso e nell'altro, è il nostro giudizio sull'etnia a guidarci, e qui sta l'errore».

Sì, ma scusi: i veneti cosa c'entrano?
«C'entrano, in questo caso, in un modo esemplare, perché alla fine diventano anche loro vittime di una discriminazione etnica. Ma che senso ha attaccare gli abitanti di una parte d'Italia perché è accaduto un fatto? Eppure tutti gli danno addosso, li accomunano in un giudizio sprezzante. Quelli mossi dalla passione dei buoni sentimenti, sfogano senza rendersi conto un rancore che è l'opposta polarità del fenomeno. A chi si accanisce in questi giorni contro i veneti, dico che sta commettendo esattamente una forma di razzismo, che sta giudicando con il metro dell'etnia, e questo è sempre un gravissimo errore».

Mi spiega perché gli unici a difenderci, in rete, sono stati i siciliani? Molti sono entrati nel forum per riportare il dibattito sul tema centrale, e hanno avuto parole molto positive per i veneti
«Ma chi, più dei siciliani, è marchiato nel mondo? Loro ci difendono perché loro sanno quanto sia difficile convivere con un pregiudizio: doverlo sopportare li ha fatti elevare».

Professore, ma dobbiamo offenderci o meditare?
«Dobbiamo renderci conto tutti, ma dico tutti, non il Veneto ma ogni singola regione di questo unico paese che l'Italia, che il fenomeno della migrazione è arrivato a un punto di svolta. E' concluso il ciclo storico in cui lo straniero è semplicemente una forza lavoro. Lo straniero non viene più in Italia o non ci resta solo per lavorare, qui ha una famiglia, dei progetti di vita. Noi questo lo dobbiamo capire e dobbiamo passare a una visione cosmopolita della società».

Mi pare difficile, se dobbiamo partire dalla reintegrazione dei veneti
«Non è così, è stato l'argomento a scatenare la passione e a portare il dibattito su binari così accesi. Noi andiamo verso la società cosmopolita e allora un buon punto di partenza può essere quello di darsi delle regole. Ma dobbiamo cominciare a pensarci seriamente e anche in fretta. L'integrazione completa, sociale, oltre che auspicabile è anche inevitabile, è solo questione di tempo. Non possiamo farci trovare impreparati».

Potremmo cominciare tagliando l'etnia
«Nel bene, e nel male. Sarà un lavoro lungo, molto faranno le associazioni, il volontariato».

C'è una lezione che dobbiamo comunque imparare, da tutta questa vicenda?
«Il fatto che non esiste un sud più sud degli altri, e che ogni nord è il sud di qualcun altro».

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