Ucciso a coltellate fuori dalla discoteca, lo strazio del padre: «Non dovevate farlo»

Papà Vasile e mamma Joana sono andati in quel parcheggio a Castelfranco, dove Lorenzo Cristea ha perso la vita: «Noi siamo immersi nel dolore. Nostro figlio non torna più»

Edoardo Fioretto
Il papà di Lorenzo Cristea, Vasile
Il papà di Lorenzo Cristea, Vasile

Le lacrime e il dolore non hanno mai lasciato l’abitazione di via Villanova, a Trebaseleghe. Da quando è arrivata la notizia, la casa dove Lorenzo Cristea viveva con il padre Vasile, la madre Joana e il fratello Roberto è sprofondata in un silenzio irreale. Una porta si apre, qualcuno entra in punta di piedi, si siede e parla piano. È accaduto anche ieri sera, domenica 4 maggio: alcuni dei ragazzi che si trovavano con Lorenzo quella notte si sono presentati dai genitori, cercando di colmare un vuoto che non si può riempire. Di dare risposte a una vicenda ancora piena di domande.

 

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«Mi hanno detto che è stato un agguato», racconta Vasile, appena rientrato dall’obitorio dell’ospedale di Castelfranco. Gli occhi spenti, il passo lento. «Gli aggressori hanno usato una lama lunga 20 centimetri. È stata quella a uccidere mio figlio».

Lorenzo aveva 20 anni, era uscito per una serata come tante, con un gruppo di conoscenti al Playa, la discoteca di Castelfranco Veneto. Non sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima notte.

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La mattina dopo, all’alba, Vasile e Joana sono andati in quel parcheggio dove Lorenzo ha perso la vita. Non hanno trovato risposte. Solo un rettangolo d’asfalto, qualche nastro bianco e rosso, una chiazza ormai sbiadita. «Ai ragazzi che lo hanno colpito e ai loro genitori voglio dire una cosa», riesce a dire Vasile, stringendo i pugni. «Non dovevate farlo. Non si può uscire con un coltello in tasca. Noi siamo immersi nel dolore. Mio figlio non torna più».

Tra i presenti in casa, ieri sera, anche il ragazzo che ha accompagnato Lorenzo in ospedale. Era uno dei sette che erano con lui quella notte. Due di loro sono finiti in ospedale: uno è ancora in Rianimazione. «Ci hanno raccontato la loro versione dei fatti, quella che hanno riferito anche ai magistrati. Oggi pomeriggio un altro di loro andrà dai carabinieri, per raccontare la sua parte di verità», spiega Vasile.

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Nessuno in casa riesce a capire come si sia potuti arrivare a tanto. Un litigio, qualche parola di troppo, forse un semplice spintone. Poi l’aggressione. «Vedere il posto in cui mio figlio è stato colpito mi ha fatto impressione», dice ancora il padre, tornando con la mente a quel muro, dietro il quale gli aggressori si erano nascosti. «Li hanno aspettati, li hanno seguiti. È stato un agguato. Non una rissa, non una lite. Un agguato».

La casa si richiude nel silenzio. Dentro, il tempo si è fermato.

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