L’euforia di chi gioca in attacco
Due «padri nobili» e ventidue «giovani incoscienti»

Una sfida elettrizzante lanciata nella «tana del lupo». Era questo il clima euforico che si respirava in redazione nei primi giorni di vita de La Nuova Venezia.
Il «lupo» era naturalmente Il Gazzettino e quel manipolo di giovani redattori entusiasti e inconsapevoli, provenienti da tutta Italia — chi scrive, ad esempio, da Mantova, ma altri da Treviso, Roma, Padova, oltre che, naturalmente, Venezia — erano pronti a giocarla, quella sfida, con un po’ d’incoscienza, nonostante la forza della tradizione del giornale concorrente, saldamente radicato in laguna.
L’aggettivo «nuovo» era appunto la parola-chiave alla base della fiducia di quei primi giorni, come il pane appena sfornato distribuito con la prima copia del giornale, alla presentazione ufficiale, a Ca’ Pisani Moretta. Nuova la redazione, a due passi da Campo San Lio (e non ci si è spostati di molto), nuova la grafica e il formato del giornale, alternativo rispetto al Gazzettino versione lenzuolo. E nuovi, appunto, i giornalisti — molti dei quali appena praticanti — con un paio di «padri nobili» a sostenerli, come il redattore capo Emanuele De Polo, proveniente proprio dal Gazzettino e una firma introdotta nel coté culturale e imprenditoriale veneziano come Sandro Meccoli. Gli inizi — passata la curiosità dei potenziali lettori per il nuovo giornale — furono tutt’altro che facili.
I problemi organizzativi infiniti — si partì, ad esempio, senza avere ancora una vera e propria redazione a Mestre, con i cronisti che facevano i pendolari — lavorando spesso, sino a notte, per consentire l’uscita del giornale. Arduo abbattere anche il naturale muro di diffidenza cittadino verso un «giornalino» che voleva fare concorrenza al Gazzettino a casa sua. Ma la Nuova in un quarto di secolo ne ha fatta di strada. E qualcosa vorrà pur dire.
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