La fine di Vidali, il pm apre un fascicolo. Il giallo delle lettere
Inchiesta per «istigazione al suicidio». I difensori: tre lettere alla famiglia. I congiunti increduli sulla versione ufficiale «La procura di Venezia ci faccia vedere le carte prima possibile»

TOLMEZZO.
E’ stata eseguita l’autopsia sulla salma di Bruno Vidali. L’ha fatta eseguire la Procura di Tolmezzo per accertare con chiarezza l’ora e le cause esatte della morte di Vidali. L’autopsia comprende anche esami tossicologici. Il Procuratore Capo di Tolmezzo Giancarlo Bonocore ha spiegato: «Per consentire questo atto abbiamo dovuto aprire un fascicolo che tecnicamente riporta l’intestazione “istigazione o aiuto al suicidio”. E’ solo una questione tecnica. Ma sottolineo non c’è nessun elemento che possa far pensare a questa ipotesi. Gli esiti non si conoscono ancora». E poi c’è anche un altro motivo nel dover intestare il fascicolo con un reato specifico: l’esigenza di motivare l’autopsia e quindi ottenere il rimborso delle spese come Procura. Ma questo succede in tutta Italia.
Ieri i famigliari del 46enne titolare del cantiere «Nuovo Moschettiere», si sono recati a Tolmezzo anche perchè bisogna che ci sia il riconoscimento ufficiale della salma per ottenere il nulla osta per la sepoltura. Nulla osta già dato dalla Procura. I funerali si terranno giovedì mattina alle 11 nella chiesa della Madonna Pellegrina di Mestre.
L’avvocato Marco Vassallo, che assieme al collega Antonio Franchini ha difeso Vidali, è ora il legale della famiglia dell’uomo che si è suicidato in cella nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo sabato pomeriggio. Vassallo ha spiegato che Vidali ha lasciato tre lettere, una indirizzata alla moglie e le altre due al figlio e alla figlia. Spiega l’avvocato: «Documenti cui non abbiamo potuto aver accesso dal momento che la Procura di Venezia ha chiesto di vederli prima. Faremo istanza alla Procura affinchè le lettere siano consegnate ai familiari e ci sia possibile esaminarle». Sempre il Procuratore Bonocore spiega: «Gli scritti non sono legati agli ultimi avvenimenti e oltre a lettere sono stati trovati appunti vari. Abbiamo già iniziato l’iter per poterli consegnare alla famiglia».
L’epilogo tragico della vicenda Vidali complica la situazione in un’indagine che potrebbe portare lontano e evidenziare situazioni imbarazzanti per molti personaggi importanti della Venezia che conta. L’imprenditore era in carcere da otto mesi. Da quando cioè è stato arrestato con l’accusa di essere il mandante del tentato omicidio del suo ex collaboratore Maurizio Zennaro e di aver fornito la pistola ad Alessandro Rizzi, il pregiudicato che il 13 giugno dello scorso anno ha sparato a Zennaro ferendolo e colpendo di striscio anche Massimo Zanon, un amico dell’uomo a cui erano dirette le pistolettate.
Chi aveva visto di recente Vidali, tra questi anche il suo legale Antonio Franchini, sostiene che l’imprenditore non mostrava segni di sofferenza da far pensare ad un gesto estremo. Franchini lo aveva incontrato giovedì scorso all’indomani della consegna, da parte dei carabinieri, del dispositivo con il quale il gip Alberto Scaramuzza respingeva la richiesta dei suoi legali di arresti domiciliari. Un dispositivo che metteva nero su bianco anche il fatto che il pm Stefano Ancilotto aveva scoperto, assieme ai militari del Nucleo Investigativo di Mestre, il fatto che il testimone portato per discolparlo davanti al giudice, era stato «comperato». E ci sono pure le prove del pagamento di alcuni vaglia fatti da parenti di Vidali e di altre cinque persone contattate per confermare la tesi del teste a favore dell’imprenditore. E’ forse quello che ha portato Vidali al gesto estreno? Chissà. E’ certo che il pregiudicato Giuseppe Giaciglio, incontrato da Vidali in cella a Treviso e che si è autoaccusato di aver dato la pistola a Rizzi per sparare contro Zennaro, quando è stato esaminato davanti al giudice non era credibile: troppe incongruenze e pure palesi. Tanto che ha lasciato stupiti gli investigatori sul fatto che due legali preparati e con esperienza come Marco Vassallo e Antonio Franchini abbiano affrontato un incidente probatorio con un teste così debole e che palesemente mentiva senza immaginare che la Procura avrebbe verificato quanto diceva Giaciglio. Forse Vidali a quel punto si è sentito abbandonato da tutti. Chissà.
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