In frantumi sull'Inno nazionale
Canti e scontro in Consiglio, la Lega fa saltare il voto sul 150º

Dall’alto Stefano Valdegamberi, Dario Bond e Federico Caner
VENEZIA.
Non sono le cinque della sera, come cantava Mina, «fermatemi le ore, ridatemi il mio amore», ma le quattro e mezzo e canta Stefano Valdegamberi, capogruppo dell'Udc. A suo modo una canzone d'amore anche questa: «Trovo giusto concludere il mio intervento cantando l'inno nazionale». E attacca sparato con il suo vocione da baritono: «Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa...» E' un segnale, la voce singola diventa subito un coro possente. Sono tutti in piedi e mano sul petto cantano a squarciagola: «Dov'è la vittoria, le porga la chioma». Stefano Peraro, collega di Valdegamberi, ha tirato fuori il tricolore. Un altro compare dalle parti di Pigi Cortelazzo. Altre bandiere sui banchi del Pd e di Rc. Dritto come un montanaro, quale in effetti è, canta Dario Bond, capogruppo del Pdl. Canta come una pasionaria Elena Donazzan, forse le pare di essere ancora in Alleanza Nazionale. Canta Massimo Giorgetti, ex An ed ex militare di carriera. Canta la Isi Coppola, canta Moreno Teso. Canta un'ottava sotto Nereo Laroni, profondità che si raggiunge con 40 sigarette al dì. Canta il decano Tesserin, canta Leo Padrin. Canta perfino Mauro Mainardi, di cui finora nessuno aveva ascoltato la voce al microfono. Non siamo ad un concorso canoro ma nell'aula del Consiglio del Veneto e cantano tutti. Voci nude, senza musica di fondo. Un canto liberatorio, perché è dalle 10 di mattina che va avanti la solfa. L'improvvisata che coglie i leghisti impreparati. Imboscata. Provocazione. Addirittura istigazione, diranno poi. Vilipendio della Padania, forse intendevano: non risulta che sia ancora reato. Presiede l'assemblea Matteo Toscani, leghista bellunese, che interrompe la seduta e chiude i microfoni. Un peccato, perché tutto il palazzo più i quattro gatti che seguivano il Consiglio in diretta su internet, si stavano appassionando. Metà consiglieri leghisti escono dall'aula. Una parte resta seduta. Qualcuno è in piedi, come il capogruppo Federico Caner («per rispetto», dirà poi). Qualcuno è in piedi a canta, come Sandro Sandri (così riferiscono testimoni). L'inno nazionale, eseguito fino in fondo, è il punto più spettacolare raggiunto dal dibattito su proposta di legge del Pd condivisa dal Pdl, che stanzia 150.000 euro per le celebrazioni del 150º dell'unità d'Italia. Ma non certo quello definitivo. La giornata terminerà con un nulla di fatto: il dibattito riprende in gennaio. Indovinate da dove? Dall'inno «Fratelli d'Italia» cantato in aula, presente lo stesso Luca Zaia: così chiede un ordine del giorno firmato da un sacco di consiglieri di maggioranza e opposizione. Lo propone in mattinata Piero Ruzzante del Pd. Da qui comincia l'irritazione della Lega. I duri del movimento non seguono l'indicazione di scuderia, negoziata dal Pdl con il presidente Zaia: astensione. L'assessore Daniele Stival è il primo a dissociarsi con una sottile osservazione storica: l'unità d'Italia è stata proclamata nel 1861 ma il Veneto ci entrò solo nel 1866, riparliamone nel 2015. Stival è uno di quei leghisti che non griderebbe «Viva l'Italia!» neanche sotto tortura (come Zaia del resto) e all'inno nazionale preferisce «Va pensiero» anche se era l'inno del Risorgimento, cioè di chi ha fatto l'unità d'Italia. Incredibile come Bossi sia riuscito a far passare questo falso storico. Padania libera anche dall'ignoranza, verrebbe da dire. Ma sono il veneziano Giovanni Furlanetto e il vicentino Nicola Finco ad aprire le falle più grosse: il «plebiscito truffa», l'annessione che portò ai veneti solo «svilimento, calvario, mortificazioni, sfruttamento, tasse». Peccato che a Roma siedano ministri leghisti, osserva Valdegamberi, che portano a casa fior di stipendi. Da notare che il giovanissimo Finco lavora all'Enel, ente nazionale. Alla ripresa del dibattito, dopo la grande cantata, Caner la mette giù dura: «Eravamo pronti all'astensione ma questo teatrino mi ha tolto la voglia. Abbandono l'aula e lascio libero il gruppo». Pietosa bugia: non riusciva più a controllarlo, povero Federico. In ogni caso i leghisti escono. Resta solo il Pdl: con il centrosinistra i consiglieri presenti sono 31, c'è il numero legale, si potrebbe votare. Invece Bond e Cortelazzo scelgono una linea dura: la Lega deve tornare in aula, solo allora il Pdl voterà la legge. Arrivederci nel 2011, fratelli d'Italia e del Veneto.
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