Il funerale di Bisaglia e l’ascesa improvvisa di Bernini e De Michelis

La Dc al 44 per cento in Veneto, al 32 in provincia. Il Pci fa il sorpasso dopo l’addio a Berlinguer
L’estate del 1984 si apre con due imponenti funerali di Stato. A distanza di due settimane muoiono Enrico Berlinguer e Toni Bisaglia. Il primo ha un ictus a Padova, in piazza della Frutta, durante un comizio. Il secondo cade (o si fa in modo che cada, il giallo è rimasto) dalla barca della moglie e annega mentre è in vacanza sulla riviera ligure. Migliaia di persone accompagnano la bara di Berlinguer da Padova all’aeroporto di Tessera. C’è anche il presidente della repubblica Pertini. Altre migliaia di persone assistono ai funerali di Bisaglia a Rovigo.


Il Veneto si trova in cima all’emozione nazionale. Non che prima fossimo in coda: il triangolo Padova Venezia Treviso aveva visto in azione i primi bombaroli italiani, Freda e Ventura, le trame nere, Autonomia Operaia con gli espropri proletari, le notti dei fuochi, dominio e sabotaggio di Toni Negri, gli omicidi delle Br da via Zabarella all’assassinio Taliercio, al sequestro Dozier. Erano stati gli anni di piombo ma nel 1984 sembravamo finalmente fuori. Quell’estate consegna al Veneto due nuovi leader. Il primo è il socialista Gianni De Michelis, veneziano, che è già ministro nel governo presieduto da Craxi.


Il secondo è Carlo Bernini, trevigiano, presidente della giunta regionale da 4 anni. E’ lui che a Rovigo pronuncia l’orazione funebre per Toni Bisaglia. Non De Mita, Forlani, Piccoli, Cossiga, Scotti. C’è tutta la nomenclatura dc che guida l’Italia dal dopoguerra, schierata in prima fila, ma parla solo Bernini. Si capisce che l’erede dell’uomo più potente del Veneto è lui, anche se non appartiene alla stessa corrente, i dorotei. Nel suo gruppo Bisaglia non lascia eredi: era emerso uccidendo politicamente il suo creatore, Mariano Rumor, che gli aveva dato spazio. E non aveva commesso lo stesso errore. Misurata con i risultati delle elezioni europee di quell’anno, la Dc veneta è al 44,8% ma tocca il 47,1% a Treviso, il 48,3% a Verona, il 54,5% a Vicenza. A Venezia invece è al minimo storico: 32,4%, superata dal Pci che è al 33,8%. Lo chiameranno l’effetto Berlinguer.


A Venezia c’è anche la roccaforte del Psi di De Michelis, che segna il 14% mentre nel resto del Veneto supera appena il 10%. Tutti gli altri partiti sono a percentuali con una cifra. Ce n’è anche uno nuovo, nato l’anno prima: si chiama Liga Veneta, ha ottenuto il 4,2% e ha portato in parlamento un deputato e un senatore. Il primo è un professore di liceo di Padova, Achille Tramarin, il secondo un venditore ambulante di Treviso, Graziano Girardi.


Sui cavalcavia compaiono slogan truculenti: «Romani peste ladra». Contagiano perfino l’agenzia sovietica Tass che in una corrispondenza da Roma scrive: «Il Veneto è preda di un’ondata di disordini razziali». Il presidente del Consiglio regionale Bruno Marchetti pretende le scuse da Mosca. Successo in cronaca nera: mettono in galera la banda Maniero. Li beccano in un ristorante di Modena, subito dopo l’antipasto. La Nuova Venezia se ne occuperà a lungo. L’anno finisce con gli operai sotto la pioggia, che protestano urlando: «Pagare le tasse tutti». Non è cambiato quasi niente.

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