«Ho visto morire Paolo e Denis»

Il testimone diretto: soccorsi in ritardo. Il pm: nave poco sicura. Il mestrino Antonio Berto racconta la sequenza choc: «Ferrara è caduto, Zanon pensando a un malore si è precipitato alla botola». L’aiuto gruista presente al momento del dramma: soccorsi in ritardo
MARGHERA.
Antonio Berto, 54 anni, del rione Pertini di Mestre, lavoratore interinale, l’altro ieri alle 2.30 lei stava prestando servizio per conto della Nuova Clp a sei metri dalla stiva delle morte.


Cosa ha visto?

«Eravamo sei lavoratori a bordo e cinque in banchina. Io e Paolo Ferrara facevamo da segnalatori al gruista, io sul lato destro della nave e il collega scomparso sul lato sinistro. La gru ha calato nella stiva 4 lo scavatore. La stiva era colma di tonnellate di soia, per cui la normale profondità di 20 metri si era ridotta a 2 metri. Una volta calato l’escavatore, Paolo Ferrara attraverso una botola di 80 cm per 80 si è calato in stiva, dove doveva slegare le corde della gru. Zanon si è accorto che Ferrara era caduto ed ha pensato ad un malore».


E cosa avete fatto?

«Entrambi siamo corsi verso la botola e ci siamo scontrati, perché entrambi abbiamo messo la gamba nel pertugio, lui più in profondità perché era arrivato prima. L’ho lasciato passare e poi ho cominciato a scendere anch’io. Avevo ancora la testa fuori ma una folata di gas mi ha fatto quasi svenire e mi sono sentito cedere le gambe. A quel punto ho avvertito il pericolo e sono subito risalito. Solo dopo mi sono reso conto che Zanon arrivando prima di me mi ha salvato la vita. Se fossi sceso io prima di lui a quest’ora sarei in cimitero e forse il mio compagno sarebbe ancora vivo.


Ha dato l’allarme?

«Ho chiamato i colleghi, gridando ma ero così agitato che non riuscivo nemmeno a digitare il 118 sul cellulare, così un compagno l’ha fatto al posto mio. Zanon deve essere morto subito, forse perché per la concitazione ha aspirato a pieni polmoni l’ossido di carbonio. Ferrara, invece, dava segni di vita anche se doveva essere grave. Rantolava, aveva la bava alla bocca».


Chi ha dato i primi soccorsi?

«E’ arrivato un ufficiale della nave vestito con una tuta bianca e la maschera protettiva, aveva con sé una bombola d’ossigeno. Avrebbe dovuto calarsi nella stiva ma ad un certo punto si è accorto che la bombola era vuota. Poi è arrivata un’altra bombola in una valigetta e un marinaio rumeno, che con la tuta la maschera e il respiratore si è calato nella stiva attraverso la botola. Ha messo su una barella Ferrara, che è stata imbracata e tirata su. Zanon, invece, essendo morto è stato portato in coperta dopo tre ore. Era già passati 20 - 30 minuti, quando Ferrara è stato tirato su. Io e altri colleghi gli abbiamo prestato soccorso facendogli un massaggio cardiaco e dandogli l’ossigeno ma secondo me era già morto. Quando è arrivato il soccorso medico del 118, erano già passati 40 minuti dal momento del disastro. I sanitari hanno provato a fare il massaggio cardiaco, la respirazione artificiale e un’iniezione. Un infermiere si è voltato verso di me ed ha scosso la testa, come per dire: “Non c’è più niente da fare”. Il rumeno è stato portato via dal 118, per precauzione ma non dava segni di malessere».


Chi ha autorizzato lei e i suoi colleghi a salire sulla nave e a procedere con le operazioni?

«Il capo turno del terminal Cia».


Cosa non ha funzionato?

«La stiva era talmente piena di ossido di carbonio, che è chiaro che non è stata aerata per almeno 24 ore, come era necessario. Con 40 euro di spesa si sarebbe potuto salvare la vita a i due nostri colleghi, bastava che Worl Trader e il terminal si dotassero ognuno di un sensore per il controllo dei gas. E l’Autorità portuale? Perché non ha verificato il rispetto delle procedure di sicurezza?»


E i soccorsi?

«Sono giunti in ritardo, se fossero arrivati 10 minuti prima, Ferrara sarebbe vivo».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia