Evasione record alla Mastrotto Group

Nascosti all'estero 1.300 milioni di euro, corrotti gli agenti del fisco
Bruno Mastrotto, titolare con il fratello Santo della Mastrotto Group
Bruno Mastrotto, titolare con il fratello Santo della Mastrotto Group
 
VICENZA.
Evadevano il fisco ed educavano i cittadini all'onestà (con apposita fondazione onlus), pagavano i dipendenti in nero e nascondevano capitali all'estero, corrompevano i funzionari dell'Agenzia delle Entrate per evitare accertamenti fiscali. Se fosse tutto vero, i fratelli Bruno e Santo Mastrotto, titolari della multinazionale Mastrotto Group di Arzignano (un impero della pelle), sarebbero dei mostri. E secondo la Guardia di Finanza di Vicenza, lo sono. Ieri le Fiamme Gialle hanno elevato nei loro confronti accuse da paura, l'intero compendio delle malefatte fiscali.
 Tonnellate di pellame vendute in nero, occultamento all'estero di capitali per oltre 1,3 miliardi di euro con un'evasione complessiva di 106 milioni, 9 milioni di euro corrisposti fuoribusta a 800 dipendenti (alcuni avrebbero incassato straordinari in nero fino a 50 mila euro), il tutto diretto attraverso due trust costituiti sull'isola di Man e quattro società fittizie costituite in Lussemburgo per un totale di 2 milioni di euro di Iva evasa. La notizia ha fatto tremare le concerie del comparto vicentino. I fratelli Mastrotto sono leader nella produzione e trattamento delle pelli, le loro aziende casi da manuale di successo in tempi di crisi. Contro di loro la Guardia di Finanza di Vicenza ha elevato sanzioni amministrative pecuniarie per oltre 3,6 milioni di euro (riguardano 1.850 posizioni lavorative considerate irregolari), i due fratelli sono stati inoltre denunciati per «dichiarazioni infedeli» (relativamente alle imprese italiane) e «omesse dichiarazioni» (per le quattro società lussemburghesi) rispetto alle quali risultano «evasori totali».  Il Gruppo, che tiene oltremodo all'immagine e che negli anni non ha lesinato sforzi per promuoverla (i fratelli hanno dato il nome del padre alla Fondazione, Arciso Mastrotto), ha risposto in giornata con un comunicato stampa nel quale «non si riconosce nelle cifre» fornite dalla Guardia di Finanza, di «una grandezza e di un ordine sproporzionato», vi si afferma che «i dipendenti sono regolarmente assunti e inquadrati», ammette le irregolarità fuoribusta, ma solo per il passato («pratica diffusa nel territorio in cui il Gruppo è stato costretto ad adeguarsi, peraltro abbandonata da tempo»), mentre, per quanto riguarda le operazioni estere, spiega che «esse sono state fatte oltre 10 anni fa e per motivi assolutamente legittimi». Il Gruppo si dichiara fiducioso del giudizio delle «autorità competenti» e annuncia che «contesterà nelle sedi competenti la fondatezza dei rilievi della Guardia di Finanza» lamentando comunque «il danno assolutamente ingiustificato provocato all'immagine».  Per la Guardia di Finanza i Mastrotto avrebbero «sostanzialmente riconosciuto la bontà delle conclusioni a cui sono giunti» i loro esperti, aggiungendo che «si sono impegnati a procedere in un percorso di regolarizzazione della loro posizione nei confronti del fisco italiano».  Il mega-accertamento è nato da un'indagine per corruzione che ipotizzava nei confronti dei Mastrotto il pagamento nel 2008 di una tangente da 300 mila euro a professionisti e funzionari dell'Agenzia delle Entrate, «al fine di ridimensionare l'accertamento conseguente ad una verifica intrapresa dalla Guardia di Finanza di Venezia». Nel 2006 ci sarebbe stata un'altra «dazione» col «pagamento di una tangente di 60 mila euro per precludere l'attività - sempre - dell'Agenzia». Entrambe le tangenti sarebbero state «pagate tramite lo stesso commercialista».  Il Gruppo Mastrotto, da canto suo, si definisce «una realtà industriale che con gli stessi verificatori ha sempre dimostrato la massima disponibilità e collaborazione», e questa è anche la sola affermazione sulla quale Guardia di Finanza e azienda sembrano concordare, «le società ispezionate - riconoscono infatti le Fiamme Gialle - hanno provveduto spontaneamente al versamento di oltre 800 mila euro nei confronti dell'Inps». (e.r.)

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