La morte di Tantucci, il ricordo della redazione: «Ironico e colto, una penna che ci mancherà»

Il lutto alla Nuova Venezia per la morte a 70 anni del collega. Una vita lavorativa trascorsa in redazione a San Lio con i colleghi. «È difficile. Difficile accettare che Enrico non ci sia più. Una persona colta e gentile. Un giornalista bravo e tenace, innamorato del suo lavoro»

Alberto Vitucci
Tantucci al centro con Vitucci, Pivato (sinistra), De Rossi e Cecchetti nella storica redazione di Venezia
Tantucci al centro con Vitucci, Pivato (sinistra), De Rossi e Cecchetti nella storica redazione di Venezia

È difficile. Difficile accettare che Enrico non ci sia più. Una persona colta e gentile. Un giornalista bravo e tenace, innamorato del suo lavoro. Il risultato si poteva vedere ogni giorno sulle pagine del giornale. Pezzi carichi di informazioni, scritti benissimo. Intuizioni che arrivavano spesso prima di tutti gli altri.

Ironia e studi classici dietro la prosa che si gustava riga per riga. Negli ultimi mesi la sua firma era scomparsa dal giornale. Il tam-tam della malattia già circolava. Lui reagiva con grande energia, ma aveva dovuto smettere. Nelle ultime settimane non rispondeva ai messaggi.

E adesso non c’è. Una vita passata insieme nelle redazioni della Nuova. L’ironia sempre presente. Le poesie e i giochi di parole fulminanti. Non era un tipo estroverso, Enrico. Parlava poco della sua vita privata. Se non quando passava a trovarlo il suo adorato figlio Vittorio.

Era soprattutto una scuola di giornalismo perbene. Cronista vecchio stampo: si cercava le notizie, senza fermarsi alle versioni ufficiali e ai comunicati. Se partiva convinto non lo fermava più nessuno.

Scrivere, scrivere. La produzione non era soltanto qualitativamente pregevole. Ma anche molto corposa. Enrico arrivava molto presto in redazione. Studiava giornali, mail, agenzie, telefonava. Poi andava a caccia e tornava, come si dice, con la “borsa piena”. Notizie grandi e piccole.

E’ morto il giornalista Enrico Tantucci, una delle firme più colte del Nordest
Il giornalista Enrico Tantucci aveva 70 anni

Mostre in anteprima e indiscrezioni sui grandi enti culturali come la Biennale e la Fenice. Ma anche notizie di quartiere, quelle che poi fanno vendere i giornali. Attenzione all’arte, ma anche ai cittadini che facevano tre rampe di scale per raggiungere la redazione di San Lio e raccontare la loro storia.

Enrico ha tra gli altri il grande merito di avere allevato generazioni di bravi collaboratori. Ragazzi giovani e meno giovani che imparavano con lui a scrivere di arte e di teatro. Li trattava sempre con grande rispetto, e anche con un po ’di severità da professore di liceo. Una scuola utile ancora oggi a chi nel frattempo è diventato un giornalista famoso, o un dirigente di musei e biblioteche.

Enrico era un punto fermo di qualità nel panorama del giornalismo veneziano. Romano di origine, aveva lavorato da giovanissimo alla Gazzetta di Mantova. Un giornale locale di primo livello, una delle perle dei quotidiani locali del gruppo Espresso.

A Venezia si era inserito senza problemi. Non amava la cronaca nera e nemmeno la giudiziaria. Ma nella cultura e nella “bianca” era quasi imbattibile. Capace di produrre pagine intere di notizie nell’arco di una giornata.

Lo stile e la gentilezza non lo abbandonavano nemmeno nei (rari) momenti in cui si arrabbiava davvero. Magari per un pezzo tagliato male, un titolo sbagliato, una notizia sottovalutata. «Abbi pazienza, così non si fa», esordiva con il caporedattore, dopo avergli inviato una ferma e-mail di civile protesta.

Una penna che ci mancherà, come già dicono in tanti in queste ore. Una cultura della Venezia più vera apprezzata da molti, fino a fargli vincere il prestigioso premio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed arti nel 2011. Una produzione di grande qualità come collaboratore del Giornale dell’Arte.

E un libretto per la coraggiosa piccola casa editrice “Il Fontego” dal titolo “A che ora chiude Venezia”. Denunce e inchieste importanti, portate avanti con grinta e tenacia anche negli ultimi anni. E una stima bipartisan se così si può dire. Anche quelli che aveva fatto arrabbiare riconoscevano in lui grande qualità e correttezza morale. Ci mancherai davvero, caro Enrico. Riposa in pace.

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