Regionali, la rabbia dei leghisti veneti: «Due assessori sono troppo poco»
Il possibile accordo nel centrodestra. Corsi: «Allora meglio un presidente di FdI». Barbisan: «Mai convocati dal segretario»

«A questo punto, se le condizioni saranno queste, allora sarebbe stato meglio lasciare la presidenza a Fratelli d’Italia, ma avere, in cambio, una regione più omogenea. Il governatore e due assessori? Non ce ne facciamo niente».
La voce è di Enrico Corsi, leghista veronese. Non si ricandiderà in Consiglio regionale: né con il Carroccio, né con altri partiti, assicura. «Lavorare altri cinque anni soltanto per “strucar un boton” non fa per me» dice. Ma è una considerazione che esula dai ragionamenti sull’attualità politica.
Quello che invece affonda nel periodo amministrativo attuale sono i suoi discorsi su tutto il resto: «I voti persi, la presenza sul territorio sempre più debole. E una segreteria nazionale che non ha fatto nulla per invertire la rotta. Se adesso siamo trentuno consiglieri, e due li abbiamo già persi, dopo le elezioni rischieremo di essere meno di dieci».
Ha la libertà di chi non ha più nulla da perdere. E sono in tanti, con lui: sondaggi alla mano, non si ricandideranno, sapendo di non aver chance. «Sarà una Caporetto – prevede Corsi – e una campagna elettorale costa, in termini di impegno e in termini economici».
La sua voce è espressione di un sentire piuttosto comune, tra i colleghi. Soprattutto tra quanti, orfani della lista Zaia, vedono ridurre al lumicino le possibilità di rielezione.
Marzio Favero ricorda che l’ufficialità di qualsiasi decisione «spetta al tavolo di centrodestra», e quindi: «Soltanto Meloni, Salvini, Tajani e Lupi sono titolati a comunicare come si concluderà la partita». Tuttavia, le indiscrezioni corrono. E trovano conferma nel buonsenso.
La presidenza della Regione alla Lega, ma buona parte del resto a Fratelli d’Italia: gli assessorati e le presidenze delle commissioni di peso, la vicepresidenza di Regione e il vertice del Consiglio regionale; per non parlare degli altri ruoli “su nomina”, non direttamente amministrativi, ma indirettamente politici.
«Siamo preoccupati, sì – ammette Fabiano Barbisan – Mi piacerebbe ricandidarmi, ma non ne faccio una malattia: posso benissimo starmene a casa, anche perché un lavoro ce l’ho. E, come me, tanti colleghi, soprattutto miei coetanei. Ma questa amministrazione ha tenuto a battesimo la Pedemontana, ha riformato la sanità: stravolgere l’amministrazione regionale sarebbe un salto nel vuoto assolutamente negativo» dice.
Molto, in ogni caso, dipenderà dall’esito del voto, da come il Veneto verrà ridisegnato dalle urne: è su questo che fa leva Fratelli d’Italia, primo partito anche in regione. «Ma, se andrà male, mica sarà per colpa nostra» sostiene Barbisan, «Noi consiglieri non siamo stati invitati una sola volta dal segretario regionale, per parlare delle elezioni. Io non sono nemmeno stato ammesso a votare al Congresso». Era persino stato espulso dal partito, Barbisan, per delle frasi offensive sulle donne e i migranti. Ma poi l’espulsione si era trasformata in una sospensione, seguita dal reintegro: troppo importante il suo bacino di voti nel Veneto orientale, per una Lega in crisi di consenso.
In ogni caso, il gruppo della Lega si è rotto. Quella maggioranza granitica, arrivata a palazzo Ferro-Fini per governare il Veneto come un sol uomo – e, per certi versi, è stato così – alla fine è stata colpita. Non le è riuscita l’impermeabilità a quello che avveniva fuori: l’inversione degli equilibri nel centrodestra, l’avanzata di Fratelli d’Italia e il crollo della Lega, speculare.
«L’andamento delle stagioni politiche non può che essere accettato. Ma è compito della politica presentare un’offerta elettorale all’altezza delle aspettative degli elettori» ragiona Nazzareno Gerolimetto, «Io mi auguro che Zaia insista per presentare una sua lista. Ma poi, se non ci riuscirà e i cittadini non ci voteranno, allora sarà soltanto colpa nostra».
Ma la lista civica nel nome del “sarà” ex governatore è scomparsa ormai da ogni orizzonte. Superata – si dice – dalle garanzie date al presidente stesso, a proposito di un suo futuro “all’altezza” dell’incarico precedente: il governo della Regione.
Quanto al futuro del Veneto, invece, «ogni buon maestro lascia dei bravi allievi» dice Favero, di professione insegnante, «E il successo di Zaia è dovuto sicuramente alla sua persona, ma anche alla sua squadra, che funziona». Ma il numero 10 si è voltato. E, dietro di lui, c’è chi ha lasciato il campo.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia