Cambiamento climatico, il prof Rinaldo: «Mitigazione impossibile, non ci resta che adattarci»
Docente di Costruzioni idrauliche all’università di Padova, è stato ospite del Festival dell’Acqua di Mirano: «Eventi estremi, alluvioni e siccità, le due facce della stessa medaglia, saranno sempre più intensi e vicini tra loro»

«Da 300 anni si misurano le temperature del pianeta e negli ultimi otto, ogni anno è più caldo di quello precedente. Per ogni grado in più della temperatura avremo molta più acqua che cade, un 7% in più. Eventi estremi, alluvioni e siccità, che sono le due facce della stessa medaglia, saranno sempre più intensi e vicini tra loro. Quello che noto è che la Generazione Greta ha perso attrazione, manca una comunicazione virale su quello che ci aspetta. Ma non è che se non si decide, non succede nulla. Succederà comunque».
Questo il quadro, a tinte fosche, ma basato sui dati, del futuro prossimo venturo che ci aspetta. Andrea Rinaldo, professore ordinario di Costruzioni idrauliche all’università di Padova dal 1986 a pochi giorni fa, quando è andato in pensione, noto soprattutto come vincitore dello Stockholm Water Prize, il cosiddetto Premio Nobel per l’acqua che gli è stato assegnato nel 2023 dal Re di Svezia.

Mercoledì 2 ottobre sera è stato ospite illustre della seconda edizione del Festival dell’Acqua, organizzato a Mirano, per la conferenza “Il governo dell’acqua”, stesso titolo del suo ultimo libro, edito da Marsilio.
In Emilia Romagna ci sono state due alluvioni devastanti nell’arco di due anni, nel maggio 2023 e poche settimane fa. È normale? È in linea con i tempi di ritorno o è saltato tutto?
«Se eventi di solito bicentenari si verificano per due anni di fila, anche alla classica casalinga di Voghera viene il dubbio che qualcosa non funziona. La scienza idraulica italiana primeggia nel mondo, sappiamo oggi molte più cose di quante se ne siano mai sapute. Ma se le cose cambiano così rapidamente tutto quello che è successo nel passato non conta più niente, non è più vero. Con una battuta, che non è mia: il futuro non è più quello di una volta».
Una prospettiva piuttosto pessimista.
«Il mio pessimismo nasce dalla nostra incapacità di incidere sulla riduzione delle temperature prevista dall’accordo globale sul clima. I dati dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ndr) sono chiari: di qui a cent’anni l’incremento nelle concentrazioni dei gas serra continuerà a crescere, non solo non riusciremo a ridurre la curva, ma nemmeno ad appiattirla. Il motivo è semplice. Noi, nord del mondo, non abbiamo nessun titolo per dire cosa fare al sud del mondo che ora comincia a stare un po’ meglio».
Cosa si può fare allora?
«A mio avviso la mitigazione è impossibile, non ci resta che l’adattamento. Gli amministratori, a tutti i livelli, devono cercare di risolvere le situazioni contingenti , trovare soluzioni tampone. Nelle nostre zone, in Regione, ci sono bravissimi direttori e tecnici nei consorzi di bonifica. Bisogna ripensare la lezione di Israele e la loro spasmodica attenzione alla conservazione delle risorse. Bisogna ripensare gli adattamenti rispetto al mondo che cambia».
Venezia e la sua difesa. Basterà il Mose?
«Venezia è il paradigma della insostenibilità della situazione che viviamo. Tra eustatismo, ovvero l’aumento del livello del medio mare, e subsidenza, la città che sprofonda, si calcola per il prossimo secolo un aumento di un metro del livello. Difendere Venezia con il Mose? Ma il Mose, che è arrivato con 60 anni di ritardo, è stato previsto per altro, per difendere la città dalle acque alte eccezionali, non da quelle croniche. Con queste previsioni il Mose dovrebbe alzarsi 260 giorni l’anno. Sapete che significa? La laguna diventa si riduce a uno stagno, la città marcisce, le attività portuali spariscono. Certo, è un problema che non riguarda nessuno di noi, ora. Noi ora non sappiamo cosa fare. Ma quello che si può e si deve fare per salvare Venezia, città non rilocabile altrove, è una sfida fondamentale. E bisogna cominciare a pensarci e ad agire adesso».
Come si affronta dunque questa emergenza?
«Io sono solo un ingegnere, non ho soluzioni in tasca. Ma serve qualcuno in grado di decidere, serve una grande comunicazione virale su quello che ci aspetta nei prossimi decenni, una presa di consapevolezza. La generazione Greta mi sembra abbia perso capacità di attrazione. Tanti ragazzi della sua età hanno scoperto che per affrontare questi temi un po’ di fatica sui libri bisogna farla. Ma bisogna andare avanti».
Magari cominciando a prendere consapevolezza, tutti, che l’aumento della temperatura, la febbre del pianeta, non si cura con un’aspirina. Serviranno progetti, intelligenze condivise e (tanti) investimenti.
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