La doppia malattia, il lungo calvario e poi l’operazione: «Ariel ce l’ha fatta»
Il piccolo oggi ha sette anni e dall’età di un anno e mezzo combatte contro la neurofibromatosi di tipo 1 e la sindrome di Moyamoya: «Voglio fare il pompiere». Due mesi fa l’intervento a Bologna

«Mio figlio salvato dai medici del Rizzoli e del Sant’Orsola di Bologna». Con queste parole la mamma di Ariel, sette anni, inizia il suo racconto.
Oggi il figlio frequenta la seconda elementare e dall’età di un anno e mezzo combatte contro la neurofibromatosi di tipo 1 e la sindrome di Moyamoya, una malattia cerebrovascolare caratterizzata dalla progressiva occlusione delle arterie alla base del cervello.
Ogni volta che sorride, gli occhi di mamma e papà si illuminano come due fari. Quando piange perché sta male è sempre una stilettata al cuore. «Voglio fare il pompiere», ammette Ariel, mentre seduto sul divano di casa fa delle facce buffe e scatta delle foto.

Le due patologie
Questo mix tremendo delle due patologie lo rende un caso davvero unico in Italia. Dalla scoperta della malattia del figlioletto, la vita di mamma Martina, papà Claudio e della figlia maggiore Siena viene stravolta.
Da un paio di mesi, grazie a un intervento chirurgico alla schiena, le prospettive di vita di Ariel sembrano nettamente migliorare. Così, tutti tornano a sperare. «I medici non hanno salvato solo la vita di mio figlio ma anche la nostra», dichiara Martina Bergamin.
Il lungo calvario
Nel settembre 2019 inizia il loro lungo calvario. «Ariel si addormentava all’improvviso e poi una voglia che ha fin dalla nascita sulla gamba iniziava a insospettirmi sia per forma che per estensione», spiega la 50enne. È proprio dietro a quella macchia che si nasconde la neurofibromatosi. «Inizialmente, all’ospedale di Castelfranco sospettavano l’autismo», continua la mamma, «non ero convinta e mi sono rivolta all’ospedale Burlo Garofalo di Trieste dove mio figlio è ancora seguito dal dottor Andrea Magnolato».
È qui che i medici pronunciano per la prima volta il terribile responso: neurofibromatosi con Moyamoya. Un macigno su tutta la famiglia.
«Il mio cuore era a pezzi ma per Ariel ci sarò sempre», sottolinea la sorella. Ci vuole tempo per metabolizzare ma non si arrendono. «Ariel è l’unico in Italia ad aver queste due patologie combinate», chiarisce Martina, «a Trieste, dove siamo stati accolti amorevolmente da tutti quanti a partire dal primario, ai medici e agli infermieri, siamo andati per step».
Necessario l’intervento
Oltre alle due patologie si aggiunge un ulteriore problema: Ariel cresce velocemente e nonostante la sua giovanissima età entra nella fase della pubertà. La sua spina dorsale risente il peso di questo sviluppo precoce: per rimettere in piedi il bambino ci vuole un intervento. Ma 12 ore di anestesia generale mettono in serio pericolo la sua vita. Insomma, si fanno i conti con i rischi e le complicanze che sono superiori rispetto alla riuscita dell’intervento stesso.
«Era stato programmato entro la fine del 2024 e per vari motivi il medico ha preferito non intervenire». È un’altra dura prova per la famiglia Cacciatore ma sono determinati ad andare avanti con la ricerca di un ospedale e un medico pronto a operare il bambino.
Fede e speranza
Intanto, la vita di Ariel va avanti un po’ a fatica. Si divide tra la scuola e le attività che la mamma gli prepara a casa per mantenere viva la sua curiosità e la voglia di giocare.
«Pregavamo, e preghiamo ancora oggi che nostro figlio abbia una vita serena e la sanità italiana rafforzi e intensifichi la ricerca verso queste malattie», dice il papà, «non abbiamo mai smesso di perdere la fede e la speranza perché abbiamo sempre creduto fermamente in questo tipo di intervento».
All’ospedale Rizzoli di Bologna incontrano il responsabile del reparto deformità vertebrale, Francesco Vommaro. «Il bello di Ariel è che si è subito fidato di me senza esitazione», ammette il medico che due mesi fa lo ha operato. «Con una tecnica tradizionale il livello di rischio si alza in maniera esponenziale in un bambino con le patologie di Ariel che potrebbe rischiare un’ischemia», spiega Vommaro, «Abbiamo puntato su una tecnica all’avanguardia, inaugurata nel 2018 e l’anestesia dura un paio d’ore».
Arriva il giorno dell’operazione. «Quello che ci uccideva è stata l’attesa», chiude il papà. Poi la telefonata di Vommaro alla mamma: «Signora si sieda: Ariel ce l’ha fatta, l’intervento è riuscito!».
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