Aereo si schianta, morti cinque militari
La tragedia in fase di decollo, durante un’esercitazione. È precipitato sulla ferrovia

I resti del C 130
PISA.
Un bagliore fortissimo, come un sole immenso, ha illuminato la macchia di Coltano per una decina di secondi. Poi un fumo nero ha riempito il cielo, sotto lo sguardo incredulo di pochi passanti e a cento metri dal perimetro dell’aeroporto Galilei. Tre minuti di volo, poi uno schianto che in pochi secondi ha spazzato via cinque vite umane. Così hanno trovato la morte, nel primo pomeriggio di ieri, a Pisa, cinque militari della 46ª Brigata aerea, precipitati con un C-130-J dell’aeronautica militare sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno.
Le vittime sono il maggiore Bruno Cavezzana, 40 anni, triestino, che viveva a Ponsacco, istruttore e responsabile di volo, il primo maresciallo Maurizio Ton, 44 anni, pisano, residente a Colignola, padre di due figli, Francesco, di 20 anni, e Federico, di 15, il maresciallo di prima Gianluca Larice, 39 anni, nato a Venezia e residente a Treviso, e i due giovani per cui si faceva quell’esercitazione al volo, il tenente Gianluca Minichino, 28 anni, napoletano, che viveva a Pisa, padre di un bambino di venti mesi, Lorenzo, la cui moglie pochi giorni fa ha saputo di essere in attesa di una bambina, e il tenente Salvatore Bidello, 30 anni, sorrentino, che abitava a Cascina, fidanzato con una ragazza della zona.
Doveva essere un volo di addestramento, uno dei tanti, fatto di atterraggi e decolli ripetuti senza toccare terra, con una guida eccezionale, quella del maggiore Bruno Cavezzana, comandante del 50º stormo, ore ed ore di volo e di formazione di giovani piloti alle spalle, importanti missioni su scenari di guerra e di aiuti umanitari.
Ma una tragedia inattesa e per certi versi ancora inspiegabile era in agguato. Ieri sera alle 18 il comandante della base militare di stanza a Pisa, il generale di brigata aerea Stefano Fort, ha tirato le somme sulle fasi della tragedia.
«Conosco perfettamente la perizia di pilota di Cavezzana - ha detto - siamo cresciuti insieme, e per questo non riusciamo a spiegarci cosa sia potuto accadere». Secondo la prima ricostruzione a poche ore dai fatti, il C-130-J decolla dall’aeroporto militare Dall’Oro alle 14.12 per un addestramento al volo tattico: segue in genere una virata, o verso il mare a destra, o verso Collesalvetti, a sinistra. È stata quest’ultima la strada scelta dall’istruttore Cavezzana. Nella virata l’aereo avrebbe raggiunto un’inclinazione che, fallito un tentativo estremo di raddrizzarsi, l’avrebbe portato in pochi secondi a cadere. Alcuni testimoni da terra l’avrebbero visto perfino avvitarsi su se stesso, tranciare in volo nella picchiata 4-5 cavi dell’alta tensione ed infine precipitare sui binari, pochi minuti prima che arrivasse un treno, a poche centinaia di metri dall’abitato.
Ma come può un volo di addestramento trasformarsi in una tragedia di tali proporzioni? «Le manovre più pericolose vengono affrontate ovviamente con il simulatore di volo di stanza in base - ha spiegato Fort - e, se il pilota in addestramento avesse sbagliato, un istruttore come Cavezzana sarebbe intervenuto subito. Possiamo ipotizzare anche un errore del pilota, ma siamo più propensi a pensare che si sia trattato di un guasto tecnico, per quanto l’aereo fosse in perfette condizioni ed avesse affrontato la revisione da pochi mesi; o a ipotizzare anche l’impatto con un volatile o un calo di potenza. Saranno le scatole nere, quella che fornisce i dati del velivolo ed eventuali suoi malfunzionamenti, e quella che registra le voci in cabina a dare una risposta. Sulla sciagura due inchieste proseguono parallele, quella coordinata dal procuratore capo Ugo Adinolfi e quella dell’ispettorato sicurezza del volo di Forze Armate.
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