Il veronese Zambrin torna a casa dopo la Flotilla: «Ho fatto 96 ore di sciopero della fame»

Rientrato in Italia Simone Zambrin, 25 anni di Verona, tra gli attivisti italiani della Sumud Flotilla. Racconta le violazioni subite e ribadisce: «Rifarei tutto, la nostra è una missione politica per rompere il silenzio su Gaza»

Rocco Currado
Simone Zambrin
Simone Zambrin

Lacrime, abbracci, silenzi pieni di sollievo. Dopo giorni di detenzione e paura, tutti gli italiani della Sumud Flotilla sono tornati a casa. Tra loro anche il veronese Simone Zambrin, 25 anni, accolto ieri sera dai genitori all’aeroporto di Malpensa (Milano).

Zambrin, come sta?

«Abbastanza bene. Ho fatto uno sciopero della fame durato 96 ore, da quando siamo stati sequestrati fino al rientro in Italia. Il tempo nella prigione di Ktzi’ot non è stato facile. Diritti basilari violati: ci negavano l’acqua potabile, ci accendevano le luci di notte impedendoci di dormire, alcune persone non hanno ricevuto l’insulina per oltre tre giorni. Altre hanno subito violenze fisiche».

Come avete vissuto quei giorni?

«Abbiamo cercato di restare concentrati sulla missione. Siamo stati prelevati in acque internazionali, quindi si è trattato di un sequestro. Il nostro obiettivo era rompere il silenzio su un genocidio in corso e denunciare il sostegno dell’Italia e dell’Ue a Israele, di cui sono il principale partner commerciale».

Com’è stato trattato lei personalmente?

«Nulla di eclatante per me, ma comunque un trattamento punitivo. Mi è stato negato di fare la doccia o di camminare all’esterno, ma sono dettagli rispetto a quello che subiscono i detenuti palestinesi. Alcuni erano in una struttura vicino alla nostra, abbiamo cercato il dialogo con i canti».

Perché ha rifiutato di firmare i documenti per l’espulsione immediata?

«Perché erano proposti da un regime genocida. Non riconosco validità a quei documenti. La nostra presenza lì era politica e volevano farci uscire senza processo. Inoltre, resistere era un modo per essere solidali con chi non ha copertura diplomatica».

Rimane convinto della missione?

«Assolutamente. Non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo, ma abbiamo avviato un processo che punta all’interruzione dei rapporti economici e militari con Israele».

Da alcuni politici italiani ci sono state parole dure sulla Flotilla.

«Non ci sorprende, ma la nostra è una missione dalla parte giusta della Storia».

Israele dice che non c’erano aiuti umanitari sulle imbarcazioni.

«Propaganda. Abbiamo prove, immagini e video che dimostrano il contrario. Ogni missione subisce queste narrazioni false».

Crede che la Flotilla abbia sollevato più attenzione su Gaza o su se stessa?

«Le piazze sono piene per la Palestina. La Flotilla ha aiutato, ma non è stata protagonista: lo sono i palestinesi. A Gaza, mentre Israele era impegnato con noi, i pescatori sono riusciti a tornare in mare».

Com’è stato l’arrivo in aeroporto?

«Molto toccante. Eravamo in cinque, accolti da tante persone. Rivedere genitori e amici è stato emozionante. È un’impresa collettiva, ma resta anche un’esperienza personale».

E ora?

«Riposo, poi vedremo. La lotta continua». —

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