Venezia lotta per la sopravvivenza, tra il granchio blu e l’overtourism

Da un paio d’anni l’eco-socio sistema veneziano, che ospita, tra l’altro, il sito Unesco “Venezia e la sua laguna”, ha preso coscienza di due aggressioni alla sua biodiversità. Quella del Callinectes sapidus, vulgo granchio blu, che sta minacciando di estinzione cozze, vongole, ostriche (ma anche alcune varietà di pesci e persino di alghe) insediate nella laguna di Venezia.
E quella dell’Homo viator voluptuarius (così avrebbe potuto chiamalo Linneo), vulgo turista, non blu ma con i colori dell’iride vista la sua variegata provenienza, che sta mettendo in pericolo la presenza dell’Homo veneticus, la varietà autoctona dell’Homo sapiens da secoli insediata nell’ecosistema veneziano.
Né l’una né l’altra emergenza sono “specialità” veneziane. Il granchio blu sta aggredendo con pari virulenza tutte le lagune, le valli da pesca e le foci dei fiumi italiani. La crescita esponenziale della presenza dell’Homo viator, invece, sta, per rimanere in Italia, aggredendo soprattutto i centri storici delle grandi città d’arte, Venezia, Roma, Firenze, Milano e Napoli su tutte. Ma la compresenza di granchi blu e turisti variopinti a Venezia consente di fare alcune utili considerazioni.
La prima è la colpevole sorpresa con la quale si sono andati riconoscendo i due fenomeni pur segnalati da tempo. Il granchio blu dalla sua prima apparizione nella laguna di Venezia nel 1929. L’overtourism, come si chiama oggi la crescita esponenziale della presenza dell’Homo viator, segnalata almeno dalla metà degli anni ’80.
Quando proprio a Venezia l’Unesco lanciò il suo programma “Art Cities and Visitor Flows” (Città d’arte e flussi turistici) e avvisò del destino ineluttabile al quale Venezia storica sarebbe andata incontro senza opportuni interventi: abbandonata dalle sue “imprese”, anche quelle dedite alle attività centrali, divenute comparativamente inaccessibili e dalle sue “famiglie”, anche quelle che avrebbero potuto contendere il costruito veneziano al turismo montante.
La seconda è che, anche di fronte alle emergenze, c’è sempre chi cerca di trarne profitto. Chi, pazienza per cozze e vongole, cerca di far passare il granchio blu come una leccornia. E chi, pazienza per i venetici spiazzati, massimizza rendite più che profitti favorendo la presenza dell’Homo viator: stakeholder resi dal proprio “particulare”ciechi e sordi allo stravolgimento dell’eco-socio sistema urbano.
La terza è che in entrambi i casi si possono presentare soluzioni traumatiche impreviste: le alte temperature odierne alle quali il granchio blu sembra non resistere o una pandemia come il Covid 19 che ha fatto rintanare per un paio d’anni l’Homo viator.
La quarta, la più importante, riguarda il modo col quale si stanno affrontando le due emergenze. Contro il granchio blu: norme di legge, commissario governativo all’opera, diffusione di gabbie di difesa di mitili e cozze, reinsemimazione di vongole, eccetera. Sul come impedire, invece, che l’Homo viator voluptuarius spiazzi, con le sue presenze temporanee ma sempre più aggressive, l’Homo veneticus, finora più parole che fatti. E spesso parole che inseguono ricostruzioni analitiche destituite di reale fondamento.
Eppure... In un eco-socio sistema nel quale si muovono ogni giorno più di un milione di utenti urbani; e nel quale anche il solo centro storico lagunare è animato, in media ogni giorno, da oltre 120 mila esemplari di Homo veneticus, ai quali si aggiungono in media i 95 mila esemplari di Homo viator, l’habitat favorevole all’Homo sapiens autoctono abbisogna per restar tale di poche cose.
Un moderno sistema di trasporto che gli restituisca la funzionalità oggi compromessa da trasporti lagunari obsoleti e che ricucia laguna e terraferma; e di norme che, consentendo all’intera comunità di utenti urbani locali (il milione di city-user ricordato prima) di esprimere le proprie preferenze, diano all’Homo veneticus la possibilità di fissare una soglia massima di presenza giornaliera di viator voluptuarius nell’urbs storica.
Soglia da rendere più facilmente sostenibile – mantenendo così la struttura urbana – con politiche che consentano all’Homo veneticus di rafforzare la base economica non turistica dell’eco-socio sistema veneziano. L’Homo viator voluptuarius è il benvenuto a Venezia, ma perché gli effetti indesiderati della sua presenza non superino i benefici occorre cominciare a “inventare” un’altra Venezia.
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