La storia di Serena Tonello, da Padova alla Cornell Law School tra ostacoli e restrizioni Usa

La giovane avvocatessa italiana ha superato le difficoltà dei visti e delle restrizioni trumpiane per seguire un master in Legge negli Stati Uniti, diventando l’unica italiana del programma internazionale

Serena Tonello
Serena Tonello

Ha presentato domanda per andare a studiare in America proprio nei giorni in cui iniziava la campagna trumpiana di restrizioni nei confronti degli studenti internazionali. E mentre gli sbarramenti Usa hanno spinto molti giovani verso atenei di altre nazioni, lei ha preferito tirare dritto per arrivare dove voleva.

Da qualche giorno Serena Tonello, originaria di Grantorto (Padova) laureata in Legge con lode, vincitrice per due anni accademici di fila della borsa di studio “Mille e una Lode” riconosciuta al 3% degli studenti delle facoltà padovane, si trova a Ithaca, Stato di New York, per un master in Legge alla Cornell School of Law, una delle otto Ivy League americane.

Ed è l’unica italiana facente parte di questo programma destinato a studenti provenienti da tutto il mondo. Arrivarci non è stato semplice, appunto: dallo stop alle iscrizioni, alle verifiche social, passando per i controlli da parte degli operatori della Delta Airlines. Serena Tonello, che tra le altre cose ha anche già sostenuto - e superato - l’esame di avvocato, ha sperimentato gli effetti della nuova politica americana di “dazi” sui talenti intellettuali. In America da qualche giorno, è felicissima di esserci e ci sta molto bene.

Ma arrivarci, appunto, è stata una salita. «Collaboravo con uno studio legale di Milano, ma volevo seguire il master in Legge in Usa per capire come funziona un sistema giuridico diverso dal nostro; approfondire il dialogo con le altre giurisdizioni è essenziale per far progredire il nostro sistema giuridico», spiega la giovane avvocatessa, «Così presentai richiesta per potervi accedere contando su una borsa di studio e su un prestito bancario agevolato. Per studiare in America servono molti soldi e i miei genitori hanno un lavoro normale, non sono ricchi. Era la mattina del 28 maggio: nel pomeriggio il Consolato Usa mi rispose dicendomi che gli appuntamenti erano stati chiusi».

Una doccia fredda, la politica delle restrizioni trumpiane era appena scattata. «Non sapevo cosa fare, se disdire o meno la casa a Milano. Guardavo ogni giorno i siti americani, cercando notizie sulle decisioni del governo. Nulla. Verso la fine di giugno ho finalmente trovato uno slot aperto a Roma: sono andata al Consolato americano della capitale per un colloquio con i funzionari Usa. C’è stata l’intervista: mi hanno preso le impronte, chiesto cosa andassi a fare in America, se avevo i fondi per mantenermi. E mi dissero di rendere pubblici tutti i miei social».

Era l’8 luglio, il mattino. Nel pomeriggio il Consolato l’ha richiamata: «Non riuscivano ad accedere a uno dei miei profili». Segno che i controlli erano scattati e che la richiesta di aprire i profili non era un semplice proforma. L’iter a quel punto conosce un’accelerata: tutto è in ordine e nel giro di un giorno arriva il via libera per la nuova esperienza di studio in America. Il 4 agosto Serena è all’aeroporto di Venezia per la partenza. Ma insieme al check in si profila un nuovo step: «Un operatore della compagnia aerea Delta, con la quale volavo, mi ha fatto una serie di domande prima dell’imbarco: dove andavo esattamente, cosa avrei studiato, che tipo di master avrei seguito.

A quel punto ero decisamente preoccupata per quello che mi aspettava negli Usa, i miei timori nascevano soprattutto da quello che leggevo sulla stampa in Italia». Una volta a destinazione le cose hanno preso tutt’altra direzione: «Nel campus non c’è alcun atteggiamento fobico verso gli stranieri», assicura Serena, «La maggior parte dei miei compagni arriva dalla Cina, dal Sudamerica e dal Giappone. Quasi nessuno di loro ha avuto problemi con il visto». I nove mesi del master si profilano ora in discesa.

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