
Alluvione del Friuli, una chiazza fangosa estesa per chilometri nell’Adriatico: le immagini dal satellite
Le impressionati foto riprese dal satellite Copernicus. L’esperto: «Si tratta di sedimenti derivati dalle piene dei fiumi»
La piena dei fiumi Judrio e Torre ha trascinato in mare molto sedimento. L’immagine scattata il 18 novembre dai satelliti Copernicus Sentinel 2, il sistema che monitora le dinamiche delle inondazioni in Europa, restituisce una grande macchia scura nel golfo di Trieste. «La macchia è caratterizzata – spiegano gli esperti del sistema europeo – da pennacchi torbidi, marrone chiaro, presenti lungo la costa che riflettono l’elevato volume di deflusso trasportato dal fiume Isonzo».
Si tratta di un fenomeno del tutto normale, assicura il professor Federico Cazorzi, docente di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali all’Università di Udine: «Durante le piene i torrenti e i fiumi portano molto sedimento, l’acqua diventa torbida e alla foce si forma il cosiddetto plume. È un fatto assolutamente naturale».
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E a chi gli chiede se questo fenomeno può favorire il transito di sostanze inquinanti, il docente precisa: «È ovvio che se ci sono siti inquinanti vengono trasportati a mare. Però ci sono anche siti che non sono per niente inquinati e trasportano a mare sostanze tossiche».
Un esempio? «Sappiamo che la laguna di Marano è ricca di mercurio perché arriva dalla zona dell’Idra, l’affluente dell’Isonzo, in Slovenia dove, storicamente, c’erano miniere di metalli tra cui anche il mercurio. Ma anche se non ci fossero state le miniere ci sarebbe stata la contaminazione di mercurio in laguna, è un fatto naturale, non antropico».
Tornando invece al fenomeno visibile a occhio nudo nel golfo di Trieste, il professore ribadisce che il ventaglio di dispersione dei sedimenti non è stato indotto dalla frana, bensì dalle piene dei fiumi e dalla diffusa erosione. Dopo precipitazioni intense come quelle registrate a Brazzano e a Versa, lungo gli alvei dei fiumi e dei torrenti le erosioni sono sempre più evidenti. Conseguentemente aumenta la quantità dei sedimenti trasportata alla foce.
Di fronte a piogge intensissime e localizzate, quindi, diventa difficile monitorare i rischi idrogeologici perché – sono sempre le parole di Cazorzi – «le formule che usavamo fino a poco tempo fa non sono più adatte a rappresentare i fenomeni che si verificano. Quanto più elevate sono le precipitazioni tanto meno efficace è qualsiasi cosa». Da qui la necessità di individuare nuovi indicatori che consentano una migliore progettazione di sistemazione idraulico-forestale e nuovi criteri di definizione delle priorità d’intervento sia in termini costruttivi sia di manutenzione.
Questa è anche la finalità del progetto biennale di ricerca “Torrent”, coordinato da Cazorzi, che coinvolge le università di Udine (capofila) e Lubiana, la Regione e il Centro regionale di sviluppo di Capodistria, per ridurre il rischio nella gestione dei torrenti. «Sfruttando i droni e le tecnologie che ci consentono di fare i rilievi con un dettaglio impressionante e di ripeterli con frequenza – continua il docente –, possiamo capire dove andare a risolvere i problemi con più urgenza e dove possiamo attendere. Proprio perché le risorse non sono infinite bisogna stabilire delle priorità». —
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