L’archeologa subacquea Auriemma: «Trieste e il mare, legame profondo»

Per il più ampio focus sull’archeologia subacquea dell’Adriatico che a memoria d’uomo si ricordi in Italia è stata scelta la città di Trieste, che guarda nel grembo ultimo dell’Adriatico e vi si...
Per il più ampio focus sull’archeologia subacquea dell’Adriatico che a memoria d’uomo si ricordi in Italia è stata scelta la città di Trieste, che guarda nel grembo ultimo dell’Adriatico e vi si specchia, come una nave in procinto di salpare. «Trieste è assolutamente coinvolta nell’intimità di questo mare: basti pensare che l’ultimo dei santuari di Diomede, eroe adriatico per eccellenza, si trova proprio a pochi passi da qui, dove oggi affiorano le risorgive del Timavo», spiega Rita Auriemma, curatrice della mostra per conto dell’Erpac e archeologa subacquea. L’esposizione “Nel mare dell’intimità” getterà luce anche sul suo mestiere. Se l’archeologo terrestre è stato raccontato al grande pubblico da George Lucas con Indiana Jones, la figura dell’archeologo subacqueo rimane ancora avvolta da un alone di mistero.


«Eppure la prospettiva è comune, quella dell’archeologia dei paesaggi, che mira a comprendere lo sviluppo storico del rapporto tra l’umano e l’ambiente in cui è presente - spiega Auriemma -. A cambiare è lo scenario in cui si opera, terrestre, costiero o subacqueo. In quest’ultimo caso la tecnologia oggi, grazie allo sviluppo della robotica, ci fornisce soluzione operative d’avanguardia, che ci consentono di ampliare le nostre ricerche a profondità impensabili fino a poco tempo fa». Oggi grazie a veicoli robot subacquei come i Rov e gli Auv si arrivano ad esplorare relitti profondi centinaia di metri. Non si tratta però di tecnologia a buon mercato e in Italia ce n’è poca a disposizione dell’archeologia subacquea. E’ come se dopo i brillanti esordi dell’epoca di Nino Lamboglia, mitico direttore del Centro Sperimentale di Archeologia sottomarina di Albenga negli anni ’50, sull’archeologia subacquea italiana fosse calato il sipario. Ci sono delle eccezioni, come il lavoro sul relitto di Grado, ben raccontato dalla mostra. Ma l’esposizione dimostra una volta di più come oggi «l’unica strada percorribile per tutelare il patrimonio sommerso sia creare una rete che non ha confini, se non quelli burocratici, nel trasferimento di conoscenze e buone pratiche. La ricerca deve essere internazionale, la comunità scientifica il più aperta possibile. Il “mare dell’intimità” in fondo è anche questo: reperti da Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro, ricercatori dei rispettivi Paesi che si parlano e si scambiano informazioni da cui potrebbero nascere futuri progetti. La mostra vuole essere anche un modo per rimettere in moto le attività sul campo: il Navarca di Aquileia, spiega Rita Auriemma, è stato restaurato per l’occasione e sarà esposto nel nuovo allestimento del museo archeologico di Aquileia. La sezione della Nave di Grado, il lavoro d’inventariato e catalogazione dei materiali originali del carico vivrà dopo la mostra: è pensata per il museo della città di Grado. Quanto ai reperti in esposizione, vale la stessa storia dei Bronzi di Riace. Al centro della struttura espositiva troverete quattro statue di grande impatto visivo, l’Apoxyómenos, il Principe ellenistico, il Navarca di Aquileia e l’Atleta di Barcola. Dal punto di vista artistico sono pregevolissime. «Ma a me coinvolge altrettanto il bollo di Calvia Crispinilla, con cui questa donna, proprietaria di ville e tenute, tra cui anche la villa romana di Barcola, timbra alcune anfore di una sua proprietà a Loron. È un personaggio che mi irretisce. Tacito la racconta come donna dalla reputazione scandalosa, colei che orchestrava i piaceri di Nerone. In realtà era una donna libera e potente, di cui la storiografia ha forse dato un ritratto peggiore del reale. Ma si sa, le donne di potere spaventano ancora oggi…»


Giulia Basso


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