Il teatro come resistenza civile. La venezianità sul palco del Goldoni con Mattia Berto
Lo spettacolo “L’incanto non ha prezzo”, conclusivo del laboratorio del teatro di cittadinanza è stato un successo. Il regista: «Così la comunità diventa protagonista»

Fuori, Venezia viene mangiata dal turismo della domenica che, per giunta, è anche la domenica del Papa, del weekend lungo dopo il 25 aprile per alcuni e del ticket d’accesso per tutti. Il teatro Goldoni diventa una capsula, un mondo a parte come solo il teatro sa essere, eppure stavolta il palco diventa il riflesso della città stessa, di ciò che è e ciò che non è più. Si chiama “L’incanto non ha prezzo”, lo spettacolo conclusivo del laboratorio “Shylock” del teatro di cittadinanza, condotto da Mattia Berto, che ha visto partecipare oltre sessanta veneziani, dai bambini agli anziani. Non ha prezzo nemmeno il biglietto, perché per Berto il teatro dev’essere accessibile a tutti, e infatti il risultato è un Goldoni straripante, con la platea interamente occupata così come palchetti e galleria, per un totale di 700 persone.
Al centro dello spettacolo, la riflessione sul rapporto tra la città, il dio denaro e il potere, scaturita dalla commedia shakespeariana “Il mercante di Venezia” e dal suo personaggio Shylock, attorno al quale ha ruotato il laboratorio.
L’omaggio, però, non è alle bellezze della città con un’etichetta che quantifica il loro valore, quanto a tutto ciò che - appunto - non ha prezzo. Al concetto stesso di città che è prima di tutto scenografia, sfondo sul quale si muove una comunità, abbracciandosi e respingendosi.
In scena, Venezia. Per frammenti, per immagini, le stesse che guardano i 60 attori dando le spalle al pubblico. C’è San Marco, la regata dei babbi natale, sottoporteghi e campielli, tramonti e mercati. Ci sono le frasi pronunciate all’improvviso che strappano un sorriso a tutti perché, in fondo, sono le frasi della comunità, che si sentono tra una richiesta e l’altra in inglese, francese, tedesco per strada. Dai problemi con «le scoasse» a «devo dirlo a Toso Fei», Berto porta sul palco la venezianità, la comunità che resiste ed esiste, nonostante tutto.

Gli attori si fondono con il pubblico, lasciano il palco per correre, saltare, dialogare con la platea, mente esplodono luci dalle tonalità del rosso e musica da discoteca, sottofondo della colonna sonora «Attenzione pickpocket!», colonna sonora delle calli più strette.
«In una città come Venezia, raccontata come finita e priva di autenticità, restituirla è il modo più autentico ed emozionante per ribadire la sua bellezza» commenta Mattia Berto, ribadendo che il teatro diventa così una forma di resistenza civile.
Infine, sulle note di Roberto Vecchioni, gli attori si fermano, immobili sul palco, lasciando la scena ai cittadini che si alzano dalle loro poltroncine per attaccare delle foto della città - distribuite poco prima dagli stessi attori - su due pannelli neri, un passaggio di consegna della bellezza. Come una promessa di averne cura, un desiderio di preservarli, di difenderli. «Venezia è inverosimile, più di ogni altra città. È un canto di sirene, l’ultima opportunità» la musica risuona, l’applauso scoppia e, per un attimo, la città è più viva che mai.
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