Vianello dopo l’arresto ha parlato dei complici

Il 6 febbraio scorso, al posto di frontiera di Farnetti, a Trieste, era stato bloccato il 46enne di Cavallino Davide Vianello: nella sua auto c’erano ben nove chili e mezzo di cocaina e stava tornando dall’Ucraina. Vianello era persona molto nota, albergatore, era stato per otto anni presidente della Pro Loco di Cavallino-Treporti.
In quei giorni, finanzieri e carabinieri raccontarono che era stato «Branko», il cane della Guardia di finanza a «pizzicare» Vianello, in realtà da qualche mese era intercettato e lo aspettavano al confine: dovevano fingere che fosse un controllo di routine per non far capire agli altri intercettati, tra cui Massimo Dabalà, che erano tenuti sotto controllo. Ma 48 ore dopo Vianello, nonostante la grande quantità di droga che stava trasportando, era già a casa, agli arresti domiciliari: per chi lo aveva mandato a prendere la sostanza stupefacente avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme, invece non lo è stato, visto che Dabalà e gli altri hanno proseguito tranquillamente a organizzare i loro traffici. Alle intercettazioni, da quel giorno, si sono aggiunte anche le dichiarazioni dell’ex presidente della Pro Loco, che ha iniziato a collaborare e a fornire nuovi elementi d’accusa ai carabinieri del Nucleo investigativo veneziano, che hanno condotto le indagini coordinate dai pubblici ministeri Carlotta Franceschetti e Walter Ignazitto. «Le persone arrestate, in particolare Vianello», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Alberto Scaramuzza, «rendevano fondamentali dichiarazioni e tali dichiarazioni, unite alla prosecuzione degli accertamenti, permettevano non solo di ricostruire sistematicamente la responsabilità dei soggetti fino a quel momento individuati, ma altresì l’individuazione di condotte rilevanti di ulteriori soggetti».
Dabalà non è uno qualsiasi, la sua storia criminale è di spessore e piuttosto inconsueta. Comincia da rapinatore, poco più di 30 anni fa assieme a molti giovani pregiudicati che in seguito diventeranno elementi di spicco della banda guidata da Felice Maniero. È svelto con le armi, sa navigare e portare i motoscafi, conosce la guida veloce sulla strada. Ma la disciplina e la gerarchia non gli piacciono e si mette in urto con i capi della banda veneziana legata al boss della Riviera, in particolare a Giovanni Giada. Dava fastidio per la sua autonomia ed indipendenza, così il boss veneziano aveva pensato di farlo fuori in modo indolore, però, senza usare armi da fuoco.
Nel 1984 due suoi uomini, Giorgio Levorato e Gastone Battistin, uccidono nella sua barca, in laguna, Doriano Vianello, già condannato per spaccio e in odore di diventare un confidente dei poliziotti. Giada ordina loro di lasciare in tasca al morto una bustina con alcune dosi di cocaina, la stessa droga che qualche giorno prima era stata sequestrata a Dabalà. Il quale viene sospettato dell’omicidio e finisce con quella pesante accusa in carcere. A scagionarlo definitivamente ci pensa alcuni mesi dopo, Levorato, che si pente, racconta e chiarisce molto vicende della malavita lagunare. Tra queste l’omicidio di Vianello, per il quale vengono condannati a 20 anni Battistin in qualità di esecutore materiale e Giada in qualità di mandante.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia