Un giudice veneziano teste a Palermo

Stefano Manduzio
Stefano Manduzio
 Il giudice Stefano Manduzio, sentito a palermo dal Tribunale ha sostenuto che nel 1992 Paolo Borsellino, da lui conosciuto quando era pubblico ministero ad Agrigento, si confidò con lui parlandogli della propria difficoltà ad operare con l'allora procuratore Pietro Giammanco e spiegò che molti dei contrasti interni alla Procura palermitana nelle inchieste per mafia dipendevano dal rapporto su Cosa Nostra e appalti presentato dal Ros dei carabinieri. «Borsellino mi disse pure che questa frattura tra i pm e il Ros doveva essere sanata», ha infine affermato il giudice veneziano (è presidente di uno dei due collegi del Tribunale penale lagunare).  E' stato chiamato come testimone perchè avrevve avuto uno degli ultimi colloqui sostenuti da Paolo Borsellino prima di essere ucciso da un attentato in via D'Amelio: il processo è quello nei confronti dell'allora capo del Ros Mario Mori, poi diventato direttore del servizio segreto civile, e del colonnello dell'Arma Mario Obinu, imputati di favoreggiamento per aver evitato di arrestare Bernardo Provenzano pur sapendo, grazie ad un confidente, dove si nascondeva. E questo per far procedere la trattativa Stato-mafia in modo da far cessare la stagione delle stragi in cambio di concessioni.  Al centro dell'udienza di ieri a Palermo la questione del carcere duro (il 41 bis) per i boss siciliani, che nel 1993 il ministro della Giustizia di allora Giovanni Conso abrogò per trecenti di loro.

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