Terzo: «Donadio era espressione dei Casalesi»

Primo giorno di requisitoria del pubblico ministero nel processo a rito abbreviato: «L’ex vicesindaco Teso non credibile»
AGOSTINI VENEZIA 29.12.2007.- CONFERENZA STAMPA OMICIDIO DI IOLE TASSITANI. VITTORIO BORRACCETTI, ROBERTO TERZO.- INTERPRESS
AGOSTINI VENEZIA 29.12.2007.- CONFERENZA STAMPA OMICIDIO DI IOLE TASSITANI. VITTORIO BORRACCETTI, ROBERTO TERZO.- INTERPRESS

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«Quando un “corpo estraneo” si afferma nel fare concorrenza allo Stato – come nel caso del Clan Donadio, al quale in tanti si rivolgevano per la riscossione crediti o regolare pendenze – vuol dire che il tessuto sociale ha lasciato crescere e alimentato un virus che va sradicato. C’è molto da preoccuparsi per la tenuta di una comunità dove – invece che dall’avvocato – ci si rivolge a Luciano Donadio e gli si dà la metà della somma. Non è perché è più efficace della giustizia, ma perché lo Stato distribuirebbe i soldi tra tutti i creditori, mentre così – in spregio a ogni norma – li incassi solo tu».

Il pm Roberto Terzo non fa sconti: parla al termine di 7 ore di requisitoria, nella prima delle tre udienze che l’accusa si è riservata per argomentare le richieste di condanna ai “casalesi di Eraclea” che hanno scelto il processo con rito abbreviato. Venerdì proseguirà la pm Federica Baccaglini, occupandosi dei “reati fine”: usura, estorsioni, false fatture. Ieri, invece, Terzo ha tracciato il quadro dell’associazione per delinquere di stampo mafioso che per un ventennio – secondo la Procura – ha dettato legge non solo ad Eraclea, ma in tutto il Veneto orientale, stregando il mercato dell’impresa edile, riciclando danaro.

«Tutti i testimoni collaboranti – l’ex braccio destro Sgnaolin, i sodali Arena e Puoti – confermano che il gruppo guidato da Donadio era espressione dei Casalesi», ha detto Terzo, «lo stesso socio Raffaele Buonanno, che si occupava di usura, dice intercettato che Donadio ha iniziato a fare impresa con i soldi degli Schiavone. Il cordone ombelicale resta forte fino al 2008, quando i casalesi cedono sotto i colpi dello Stato, e Donadio ha mano libera, può tenere tutti i soldi per sé. Così nei primi dieci anni ci sono state bombe, minacce, depistaggi, borse di danaro e armi verso il Sud per imporsi sul territorio ed eliminare la concorrenza. Ma poi si emancipa e può gestire il territorio senza più ricorrere alla violenza. La cosa più inquietante è che, a quel punto, sono le stesse vittime a rivolgersi a lui per chiedere aiuto: è la prova della forza della banda, che ostenta il suo potere».

«Però, quando nel 2018 scatta l’estorsione al broker Gaiatto per recuperare i milioni di investimento di Faè», prosegue il pm Terzo nel ricostruire l’inchiesta a beneficio della giudice Michela Rizzo, che dovrà decidere su condanne o assoluzione, «e Donadio incrocia nuovamente i Casalesi, che pure rivolevano da Gaiatto i loro soldi, corre subito da Iovane ad assicurare che gli darà la sua parte». Terzo ricostruisce gli attentati, le intimidazioni: «La forza derivava dall’essere “i casalesi di Eraclea”. Tutti sapevano chi era Donadio, per questo Graziano Teso (accusato di favoreggiamento esterno, ndr) che per 10 anni è stato sindaco, non è credibile quando dice che per lui era il pericolo pubblico numero uno e poi mette solo due telecamere in centro nel 2011?». Parole anche per «il trattamento imbarazzante che l’allora comandante della stazione di Eraclea riservava a Donadio. Ma sia chiaro: era un maresciallo dal comportamento inaccettabile, non l’Arma. Sono i carabibieri di San Donà e Mestre che hanno arrestato il clan». —

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