«Se chiude la Raffineria siamo pronti a bloccare i rifornimenti di benzina»

Una veduta della Raffineria dell’Eni a Porto Marghera
Una veduta della Raffineria dell’Eni a Porto Marghera
 
Cresce la tensione tra i lavoratori dopo l'annuncio della fermata della Raffineria dell'Eni per sei mesi e l'avvio della procedura di cassa integrazione per oltre 200 dei 353 dipendenti. Domani mattina i sindacati dei chimici incontreranno il sidnaco Orsoni e successivamente si riuniranno per fissare l'assemblea generale dei lavoratori che deciderà le iniziative di lotta. «Non vogliamo fare la fine di Montefibre o del Caprolattame di Enichem - dicono - Se non avremo le garanzie che questa fermata non è definitiva, bloccheremo ad oltranza via dei Petroli e le autobotti che caricano la benzina che Eni produce in altre raffinerie e lasceremo a secco il Nordest».
 Eni tace. Nessun comunicato stampa né dichiarazioni che spieghino nel dettaglio le motivazioni della decisione di fermare temporaneamente la raffineria veneziana e, sopratutto, per chiarire cosa succederà dopo i sei mesi di cassa integrazione.  Il silenzio dell'Eni sul numero di lavoratori che saranno messi in cassa integrazione per sei mesi, a partire dal prossimo novembre, ha ingenerato un balletto di cifre. Quel che è certo è che i dipendenti della Raffineria (addetti alla produzione e alla logistica), sono 353 e di questi più di 200 saranno messi in cassa integrazione ordinaria. Al lavoro resteranno soltanto gli addetti alla sicurezza della raffineria che sarà posta in «stand by» e tutti quelli della logistica che assicurano l'approvvigionamento delle autobotti nei depositi dell'Eni e dell'isola dei Petroli che si trova all'inizio del ponte della Libertà. I sindacati dei chimici veneziani di Cgil, Cisl, Uil non hanno accettato incontri a livello locale e continuano a ribadire che Eni deve chiarire il futuro della raffineria veneziana e delle altre quattro di sua proprietà in Italia (Livorno, Taranto, Gela, Sannazzaro) ad un tavolo ministeriale, onde evitare «come piace ad Eni», di «dividere e contrapporre tra loro i lavoratori di ogni singolo stabilimento, pur di portare avanti il suo piano di chiusure che ha già fatto fuori la chimica di base e ora vuol fare lo stesso con la raffinazione del petrolio».  La Raffineria dell'Eni - la più piccola delle cinque che Eni ha in Italia e attiva fin dal 1934 - occupa a Porto Marghera una superficie di circa 110 ettari e, a regime, ha una capacità di raffinazione bilanciata di 70/80 mila barili/giorno di petrolio greggio a basso tenore di zolfo (come quello libico), ma in grado anche di lavorare greggio di qualità più acida, come quello estratto in Iraq. Il greggio viene ricevuto al pontile di San Leonardo, raggiungibile da petroliere di portata fino a 85 mila tonnellate e convogliato, tramite un oleodotto sublagunare lungo 11 chilometri al parco serbatoi dell'isola dei Petroli, da cui vengono alimentati gli impianti di distillazione primaria.  I prodotti finiti (gasoli, benzine, kerosene, gpl, olio combustibile, zolfo e bitume) attualmente coprono il 65% del fabbisogno del mercato del Nordest. Vengono riforniti, con autobotti (fino a 400 al giorno) e ferrocisterne (15 nel giorno medio) oltre 1.200 punti vendita in Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, oltre alle vicine Austria e Slovenia.  «Esiste ancora un ministro dello Sviluppo economico? - si chiede il consigliere regionale dell'Udc, Antonio De Poli, in una nota stampa - Se il ministro Romani c'è, batta un colpo perché quella della raffineria di Porto Marghera potrebbe essere l'ultima chiamata. Se non interviene il Governo il Veneto avrà danni pesantissimi anche nel settore degli appalti e delle imprese dell'indotto. Un colpo durissimo».  A chiedere ai ministri Romani e Tremonti di assumersi le loro responsabilità sulle decisioni dell'Eni c'è anche l'interrogazione parlamentare di Andrea Martella del Pd.

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