Plastica, inquinamento e burocrazia sono i nemici dell’Adriatico
Plastica, inquinamento, burocrazia. Sono questi i fattori che mettono a repentaglio il Mare Adriatico. Come uscirne? Solo con una collaborazione tra pescatori, mondo della ricerca e autorità. Questi i temi al centro di «ConVivere il Mare Adriatico – Innovazione e cooperazione per un approccio condiviso delle risorse», il convegno organizzato ieri mattina alla Marittima da Guardia Costiera, università di Padova, Ca’ Foscari e Ispra. Ad aprire i lavori, il capitano di vascello Andrea Conte secondo cui l’approccio al mare deve essere il più condiviso possibile se lo si vuole salvaguardare.
«I pescatori sono la prima sentinella a contatto con la realtà marina – spiega – ed è per questo che occorre dialogo con la comunità scientifica». Un aspetto fondamentale, come sottolinea lo stesso Gianni Stival del Cogevo: «Abbiamo a cuore la ricchezza della nostra risorsa marina. Per questo, a partire dalla prossima settimana, riprenderemo la semina tra Venezia e Chioggia della cappa lunga con 50 quintali dopo dieci anni di assenza». Ma il dialogo tra chi vive il mare prende anche il nome di “ricerca partecipativa”, come spiega Francesca Ronchi dell’Ispra. Portando l’esempio di Chioggia, in due distinti progetti il «fishing for litter» (e cioè la raccolta di spazzatura in mare da parte dei pescherecci) è riuscito a raccogliere 30 mila chili con il coinvolgimento di sei pescherecci a strascico nell’arco di 13 mesi (progetto DeFishGear); e undicimila chili di rifiuti in soli 7 mesi, con l’aiuto di otto pescherecci (nell’ambito del progetto Ml-Repair). Ed è proprio la plastica recuperata nel nord Adriatico, spesso proveniente però anche dalle coste croate e slovene come dimostrano le marche straniere stampate sulle etichette, a farla da padrone (66% dei rifiuti raccolti).
Il 16% è invece di origine mista, mentre il 10% è gomma. Risultati incoraggianti, ma ancora troppe le criticità: «Manca una vera normativa sui rifiuti marini – mette in guardia Ronchi – c’è ancora una ripartizione delle responsabilità non chiara e una eccessiva burocrazia. In più, mancano incentivi pubblici per i pescatori. Chioggia è stata pioniera in questo progetto di coinvolgimento dei pescatori, ora però questo deve diventare routine”. A rischio, infatti, sono le stesse specie animali che popolano l’Adriatico. È l’allarme lanciato dalla professoressa Carlotta Mazzoldi e da Sandro Mazzariol, professore di patologia generale e anatomia patologia all’università di Padova e a capo dello Stranding Working Group, uno dei gruppi chiave per l’Iwc, la Commissione baleniera internazionale, costola delle Nazioni Unite. Tra il 2012 e il 2015, spiega Mazzariol, le morti di cetacei nell’Adriatico sono legate per il 60% a cause naturali e per il 40% all’impatto dell’uomo». —
Eugenio Pendolini
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