«Papa a Venezia la visita potrebbe anche slittare»

Il Patriarca è appena ritornato da Roma «La volontà c’è, ma la sua agenda è fitta»
Interpress/Mazzega Venezia, 20.03.2016.- Domenica delle Palme, proicessione officiata dal Patriarca Francesco Moraglia.- Nella foto in Piazza San Marco.-
Interpress/Mazzega Venezia, 20.03.2016.- Domenica delle Palme, proicessione officiata dal Patriarca Francesco Moraglia.- Nella foto in Piazza San Marco.-

Un anniversario speciale per il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che ieri ha celebrato i dieci anni da vescovo. Era il 3 febbraio del 2008 quando fu ordinato dal cardinal Angelo Bagnasco.

Qual è il ricordo più bello che porta con sé?

«Le due realtà che ho avuto come comunità ecclesiale, La Spezia che corrispondeva ai primi anni del mio rodaggio, i miei esordi come vescovo, e poi c’è stata a Venezia che mi ha stupito e lusingato, anche intimorito, una realtà ben più grande di La Spezia».

Si sono ricordati di Lei?

«Oggi (ieri ndr) ho ricevuto molti messaggini di preti e laici di La Spezia che mi hanno scritto, e questo mi ha reso davvero contento, i preti si sono ricordati, hanno avuto parole gentili».

E Venezia?

«È un cammino che mi appartiene, la sento come casa mia».

Si sente veneziano?

«Mia mamma che è ancora vivente diceva ai miei fratelli “Francesco ovunque è andato si è sempre trovato bene”. Non ho faticato a trovarmi bene a Venezia, è una realtà molto famigliare, e questa è l’impostazione che ho voluto dare al mio percorso, ossia il contatto con la gente che incontro».

In che senso?

«Le mie uscite nelle parrocchie così come i momenti che accompagnano la celebrazione liturgica mi riportano indietro a quando ero vice parroco, la realtà del patronato, l’incontro con i ragazzi, i giovani, le famiglie. La Visita pastorale che abbiamo ripreso ha un taglio diverso rispetto alle altre, mi ha reimmerso in questa realtà parrocchiale che credo sia la ricchezza della fede di una Chiesa».

Quanto sono “secolarizzati” i veneziani?

«Siamo immersi in una cultura che dalla modernità in poi afferma l’uomo quale entità autonoma e autosufficiente. Al di là di questa linea culturale, eccetto le persone ideologizzate con le quali è difficile trovare un’intesa, quando si parla di successi, insuccessi e delusioni della vita, si trova sempre un (livello) umano in grado di rimandare attraverso i limiti e la creaturalità a qualche cosa che in modo esplicito o implicito aiuta l’uomo a ricentrarsi in una realtà».

In altri termini?

«I veneziani hanno una loro storia, Venezia è una città libera, aperta verso l’Occidente e l’Oriente, ha avuto rapporti difficili con la Santa Sede, la Serenissima era Serenissima, e lo sapeva, un luogo dove si sono affermate visioni culturali e religiose di convivenza. Venezia non è mai stata Veneto, il Veneto fino a 50 anni fa era definito la “sacrestia d’Italia”, Venezia non lo è mai stata. Eppure quando parlo con persone non ideologizzate della loro umanità, troviamo sempre tanti elementi in comune».

Tutti la ricordiamo con gli stivaloni fino alle ginocchia intento ad aiutare gli alluvionati liguri del 2011...

«È stato un momento tragico. Era il 24 ottobre, un giorno che avevo destinato a fare un passaggio a Genova, a trovare i miei genitori, mio padre era ancora vivo. Avevo deciso di andare anche se era brutto tempo, perché era tanto che non li vedevo. Poi accadde un imprevisto per cui non partii e in quella circostanza venne giù il finimondo proprio in quella zona dove dovevo passare. Una situazione drammatica, siamo stati vicino alla gente in modo concreto. La Diocesi è riuscita a mettersi in gioco, ho chiesto alla Cei e alla Caritas nazionale di raddoppiare la cifra che avevamo raccolto. Facemmo due pacchetti di diverso colore, rosso e giallo, destinati agli alluvionati, è stato un intervento forte, apprezzato da tutti in un momento traumatico.

A Venezia indossa ugualmente gli stivali...

«Solamente per superare quei pochi metri che non con sentono il passaggio con l’acqua alta, ho un segretario che si sa muovere bene per le vie secondarie».

Mai avuto imprevisti?

«Una volta in modo imprevidente non avevamo stivali, siamo passati dalle cucine dei ristoranti, per le sale da pranzo, i camerieri sono stati molto gentili e noi siamo riusciti per pochi centimetri ad arrivare a casa dopo giri rocamboleschi».

Si muove a piedi per le calli?

«Giro molto, direi che ci tengo ad avere un contatto diretto con i veneziani, anche se non dimentichiamo che la Diocesi è tante altre realtà».

Le priorità pastorali che le stanno maggiormente a cuore?

«Il bene delle persone. La formazione dei preti e il sostegno ai giovani e alle famiglie. Non è facile aiutare a formare in modo corretto i preti giovani, cercare di potenziare la risposta alla chiamata».

Come si declina questa esigenza?

«Ho detto al rettore del Seminario di essere esigente nella formazione e nel dubbio di attendere un anno, facendo presente che ci sono altre modalità di vivere la fede. Priorità ai preti, ma anche alle famiglie e i giovani. Tutti i giorni sentiamo che i ragazzi si lasciano prendere da derive che li portano a sfregiare un insegnante, condurre al suicidio un coetaneo per ragazzate. Certi fenomeni che etichettiamo genericamente con la parola “bullismo” non sono prodotti da un ragazzo, ma dal contesto in cui cresce: mi piacerebbe mettere in gioco principi culturali e sociali per avere uno sguardo diverso sulla società, più inclusivo, una proposta che faccia riflettere i giovani e le famiglie. Per questo servono preti che vengono da realtà di vita vissuta e sappiano quale sfida è essere genitori e coniugi oggi».

È un vescovo severo?

«Sono esigente, che non vuole dire essere duro, ma fare in modo che l’aspirante sacerdote un domani non si senta inadeguato almeno strutturalmente nel svolgere un ruolo che non è facile ma che se si hanno le risorse spirituali e umane adatte, è qualche cosa che può rendere felice il prete e può aiutare giovani e famiglie a vivere una realtà frammentata e individualista, che porta a scartare chi ha tempi diversi dai nostri».

C’è chi abbandona le vesti...

«È una cosa che mi fa soffrire, non succede solo a Venezia, in certe zone più che a Venezia, ma è una sofferenza. Si sta vicino, direi chiedendo a quella persona che non si lasci vincere da situazioni complesse e complicate, che si prenda i tempi giusti, che creda in quella scelta».

Venezia vorrebbe finalmente un cardinale. Arriverà?

«È una domanda posta alla persona che non può rispondere, perché a decidere è il Papa. Per il passato ci sono città che non in modo assoluto ma, di fatto, erano legate a questo riconoscimento: Bologna, Torino Palermo, Venezia. Spero che il Signore (sorride) o vi faccia convincere che non l’avete, o vi esaudisca».

La Chiesa ha dimostrato la sua apertura ai profughi...

«Aprire la porta a persone che sono in gravissime difficoltà è un dovere umano e cristiano. La vera questione ruota attorno alla politica internazionale che mette l'Italia in difficoltà, tanto che poi si finisce a fare discorsi del tipo “vengono a toglierci qualche cosa”. La Chiesa di Venezia è molto attenta alle sofferenze locali, noi aiutiamo sia italiani che persone che vengono da altri Paesi, l’importante è non che si aiutino gli uni a scapito degli altri».

A Carnevale come farà?

«Ci sono periodi dell’anno in cui diventa difficile fare anche i movimenti fondamentali e questo pone problemi di tanti tipi, non dico di terrorismo, ma, ad esempio, prestare soccorso a una persona che sta male».

Quando arriverà il Papa?

«Sono appena stato a Roma, ho parlato con chi ha in mano la questione. Mi è stato ribadito che c’è un’agenda fitta, che potrebbe arrivare entro quest’anno se alcuni avvenimenti si allineano in un determinato modo, se cioè si libera. Altrimenti la visita potrebbe slittare di qualche mese, all’anno prossimo. La volontà di venire c’è, ma dipende dall’agenda, noi speriamo che venga presto».

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