Palazzo Rio Novo, in un libro i suoi segreti

VENEZIA. Un gioiello dell’architettura del Dopoguerra che potrebbe essere svuotato dalle sue funzioni e diventare l’ennesimo albergo. Eppure palazzo Rio Novo, già sede della Sade e dell’Enel, acquistato nel 2002 dalla Fondazione di Venezia, è considerato una delle architetture moderne di pregio a Venezia. Il Consiglio della Fondazione, proprietaria dell’immobile sta «valutando attentamente una offerta di acquisto», avanzata dal Fondo Axa, rappresentato dal finanziere veneziano Andrea Mevorach.
Che vorrebbe farne un’ala del nuovo albergo già in costruzione nel vicino edificio.
Che palazzo Rio Novo sia un’architettura di grande pregio lo testimonia il volume commissionato dalla stessa Fondazione, allora presieduta da Giuliano Segre, al momento dell’acquisto. Curato da Maddalena Scimemi e pubblicato da Marsilio. 220 pagine patinate con foto a colori che ripercorrono la storia dell’edificio in calle dei Ragusei progettato da tre famosi architetti negli anni Cinquanta. Angelo Scattolin, veneziano, allora anche assessore all’Urbanistica della giunta Spanio, Luigi Vietti – quello dei grattacieli di Milano – e Cesare Pea.
Una storia che si intreccia con quella della Sade, qualche anno prima del disastro del Vajont, e con l’isola di San Giorgio, che il conte Vittorio Cini – presidente della Sade – aveva pensato di restaurare affidandola allo stesso architetto, Cesare Pea.
Che ne sarà della sede della Fondazione? «Il nostro patrimonio è intorno a 400 milioni di euro», aveva specificato in una nota il presidente della Fondazione Giampietro Brunello, «ma adesso dobbiamo procedere a una ristrutturazione del nostro portafoglio per migliorarne la redditività». Dunque, la sede potrebbe andare venduta, diventando l’ennesimo albergo. Una scelta forse poco opportuna, in un momento in cui la città è sotto gli occhi del mondo e sotto i riflettori dell’Unesco per l’assalto del turismo e il proliferare delle strutture ricettive. E pur trattandosi di una Fondazione di diritto privato – creata nel 1992 dal governo Amato come Fondazione Cassa di Risparmio – la Fondazione ha nel suo consiglio anche rappresentanti di istituzioni culturali e altri nominati dal sindaco.
Una scelta nemmeno dettata da difficoltà economiche, come tiene a precisare la fondazione. Perché il gravoso investimento del museo M9 in terraferma (110 milioni di euro) non avrebbe intaccato la solidità del patrimonio e la vocazione culturale della Fondazione. (a.v.)
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