«Non è riconosciuto il lavoro che facciamo»

Niente indennità di disoccupazione: oggi la protesta di dottorandi, assegnisti e ricercatori

Non scaldano le scrivanie, ma studiano per il futuro del Paese, eppure la loro fatica non è considerata un lavoro al pari degli altri. Questa mattina dottorandi, assegnisti e ricercatori dell’Università Ca’ Foscari protesteranno contro la bocciatura dell’emendamento alla legge di Stabilità 2016 che chiedeva di estendere anche a loro l’indennità di disoccupazione, prevista per gli altri lavoratori parasubordinati.

Precari e assunti indosseranno una maglietta rossa con il disegno di un ricercatore con le braccia conserte. «La beffa», spiega Sarah Pizzini, 32 anni, assegnista al Cnr, «è che il nostro lavoro viene paragonato a un’attività di formazione pari a quella di uno studente, mentre forse le persone non sanno che la ricerca è un’attività concreta, come nel nostro caso, quando ci occupiamo di monitorare lo stato di salute della laguna».

Pizzini ha concluso il suo assegno a gennaio, trovandosi improvvisamente senza la possibilità di investire sul suo futuro. «Bocciando l’emendamento», commenta l’assegnista Elena Gregoris, 32 anni, che fa parte del Coordinamento ricercatrici e ricercatori non strutturati, «è come se non venisse riconosciuto quello che facciamo. Le conseguenze concrete poi sono la difficoltà di avere un mutuo e di avere una stabilità familiare. Io ho un figlio di due anni e sono sposata con un altro assegnista. Viviamo un grande senso di precarietà e siamo costretti a procedere a piccoli passi, navigando a vista, senza poter fare progetti. I fondi sono diminuiti, molti di noi hanno un assegno di ricerca finanziato dall’Europa o da privati, ma se si continua in questo modo non ci saranno nemmeno i soldi per comprare gli strumenti che ci servono».

Chi lavora per il futuro ha chiaro che il problema è politico: «Manca lungimiranza», afferma Elena Argiriadis, 29 anni dottoranda in ricostruzioni paleoclimatiche e in sedimento lacustre, «e siamo allo sbando. Non riesci a costruire nulla e non sai come sarà il futuro. Spesso quando fai ricerca sfori di qualche mese e come fai senza nessuna sicurezza?».

Anche Argiriadis ha un figlio di 2 anni e, da veneziana, non vorrebbe andarsene: «Sono molto attaccata alla mia città», conclude, «ma con questa situazione si capisce perché tutti poi vanno all’estero dove sei stimato e riconosciuto. L’aspetto più assurdo è che, se paragonati ad altri Paesi, abbiamo una formazione di ottima qualità che viene richiesta e voluta da tutti, ma non dall’Italia». (v.m.)

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