A Mestre sempre più donne con il volto coperto

Le associazioni: «Evitare lo scontro con le comunità». La Svizzera nel 2025 introdurrà il divieto di coprire il viso nei luoghi pubblici 

Marta Artico

Giovani donne con il volto coperto se ne vedono sempre di più in città, passeggiare per le strade, spingendo carrozzini, a fianco ai mariti. Talvolta indossano veli che non nascondono del tutto il viso, ma portano mascherine usate non per questioni sanitarie, bensì per coprire la parte inferiore del volto. Un tema che è oggetto di dibattito, soprattutto in centro città. Ma sul quale nei prossimi anni si accenderanno i riflettori, perché si tratta di una materia trasversale a cultura, tradizione e religione, talvolta così mischiate che sono difficili da sbrogliare.

Eppure dal primo gennaio 2025 la Svizzera introdurrà un divieto di dissimulazione del viso nei luoghi pubblici, attraverso indumenti come burqua, niqab, passamontagna e caschi. Non teme di affrontare l’argomento il sindaco di San Donà, Alberto Teso: «Nel mio comune mi sono impegnato ad aprire un tavolo di dialogo con le tre Associazioni islamiche che operano nel territorio, per discutere delle loro posizioni, richieste e difficoltà che incontrano quotidianamente. Mi sono anche esposto per dar loro uno spazio in cimitero per le sepolture rituali e ho aperto un tavolo per condividere assieme nuovi stili di vita e di comportamento sociale, in primis l’uso del velo che nasconde completamente il viso.

Ci siamo già incontrati più volte ed ho apprezzato l’apertura di alcuni dei rappresentanti. Con altri due consiglieri comunali abbiamo stilato una bozza di documento di intenti, in base al quale le comunità islamiche dovrebbero impegnarsi a diffondere l’uso del velo che non nasconda i lineamenti del volto, usando l’Hijab, in sostanza e non il Niqab».

Il sindaco ha fatto presente ai rappresentanti delle comunità, tra le quali c’erano anche alcune donne nordafricane, delle difficoltà pratiche che si pongono in caso di impossibilità di riconoscere la persona che si presenta. «Ho fatto l’esempio delle insegnanti che non possono riconoscere la persona che va a prendere il bambino a scuola alla fine delle lezioni». Dialogo in primis, più semplice dove c’è un numero contingentato di associazioni con le quali interagire.

Luigi Zennaro, referente provinciale per l’associazione dei dirigenti, rimarca l’attualità della tematica: «Alcune forme di radicalizzazione sono normali, i più cattolici ai tempi dell’immigrazione erano proprio gli immigrati negli Stati Uniti, perché ci si gioca una parte di attaccamento e di identità. È un tema delicato, perché riguarda l’educazione famigliare prima di tutto: oggi le scuole non hanno regole chiare cui fare riferimento, ma delle normative omologate potrebbero tracciare una strada. Lasciare scoperti occhi, naso, bocca? Non se ne uscirebbe altrimenti. Adesso la linea è quella di cercare di non creare problemi o fomentare tensioni laddove non sono percepite dai ragazzi. Mettersi contro i genitori non paga perché si rischiano, di contro, polarizzazioni ed estremizzazioni. In futuro serviranno regole più chiare e non interpretabili: fuori si può portare il passamontagna se è freddo, in classe è un’altra partita».

Prince Howlader, bengalese, di Giovani l’Umanità, è per la libertà di coprire o meno il volto, salvo eccezioni: «Il niqab? Per me va bene come no. Ognuno è libero di vestirsi come meglio credere se non offende nessuno. Le donne devono essere informate e devono poter decidere del proprio corpo e del modo di rapportarsi con gli altri attraverso di esso. Se lavoro a contatto col pubblico alle poste non copro il volto, ma se lavoro nel back-office, è diverso».

Gianfranco Bonesso, dell’associazione Articolo 19, si sta occupando del tema: «Il problema sono i gruppi radicali che si autolegittimano. Per capire i comportamenti cui assistiamo nel nostro territorio, dobbiamo guardare a cosa accade in madrepatria, perché ha dei riverberi nelle nostre città. All’interno delle stesse comunità locali, poi, ci sono prescrizioni diverse. È una partita aperta e in divenire».

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