L’Arcigay: «Famiglie retrograde»

«In questi casi sono i servizi sociali che devono intervenire a sostegno di questi giovani». Alessandro Zan, già presidente Arcigay del Veneto, ha affrontato decine di casi molto simili nella sua esperienza di lavoro e come referente della associazione. I servizi dei Comuni di residenza e delle aziende sociosanitarie sono quelli che più conoscono situazioni di disagio e hanno, o avrebbero la capacità e i mezzi per fare qualcosa.
«Al di là del caso specifico», commenta Zan, «che va verificato opportunamente e che non conoscevo, questi fenomeni avvengono ancora spesso, nelle scuole, nei locali, purtroppo anche nella famiglia. Si passa dal bullismo di chi oltraggia e prende in giro gli omosessuali alla resistenza dei genitori che sconfina addirittura nella violenza. Quasi sempre sono i padri a comportarsi in questo modo, perché non accettano l'omosessualità dei figli e reagiscono in questo modo sconsiderato».
«Sono i servizi sociali che devono intervenire», aggiunge Zan, «perché hanno la possibilità di proteggerli con i dovuti mezzi, preparazione e professionalità. A Padova, ad esempio, c'era il caso di un ragazzo che era stato sequestrato praticamente in casa dai genitori che non volevano più farlo uscire dopo aver scoperto la sua omosessualità. Sono situazioni al limite, che iniziano ad essere sempre più frequenti, in proporzione, perché tanti ragazzi non si nascondono più e non vogliono più vivere di nascosto la loro vita, infelici e tristi. Un tempo erano nascoste, soffocate all'interno delle famiglie. Lo scontro nella famiglia, dunque, avviene con una certa frequenza soprattutto davanti a mentalità retrive e maschiliste che sono quelle che più resistono».
«Per fortuna», è la chiosa conclusiva di Alessandro Zan, «ci sono anche moltissime famiglie che comprendono l'esperienza dei loro figli e stanno loro vicini in un momento difficile in cui già devono combattere nella società per affermare i loro diritti e vivere la vita serenamente». (g.ca.)
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