La boutique che rilancia e raddoppia. "Veneziani, comprate nella vostra città"

Cristina Nogara, titolare del negozio di abbigliamento Kiriku, sfida la crisi aprendo un nuovo spazio dietro campo Santo Stefano 

L’INTERVISTA

Un nuovo spazio invece del lamento, altre vetrine al posto della saracinesca abbassata, uno sguardo fiducioso verso il futuro anche se le calli sono ancora semi vuote e il fatturato - per lei come per tutti - è l’ombra di quello che era.

Cristina Nogara, titolare della boutique Kiriku in Frezzeria, ha deciso di osare nel momento in cui, chi più chi meno, gli altri arretrano. Invece di ridurre la propria attività la raddoppia e, a settembre, aprirà un secondo spazio in calle delle Botteghe, dietro campo Santo Stefano.

Una laurea in psicologia clinica, una passione viscerale per le favole (“Kirikù e la strega Karabà” è il titolo di un lungometraggio animato diretto da Michel Ocelot), diciotto anni fa il primo negozio per bambini a San Polo, poi l’abbigliamento donna e, sette anni fa, il trasferimento a pochi passi da Piazza San Marco.

Il lockdown ha coinciso con il restauro della boutique principale e l’idea di fare qualcos’altro, a tutti gli effetti controcorrente.

Partiamo dal restyling.

«Ci sono negozi che non cambiano mai. A me, invece, piace cambiare di continuo, utilizzare materiali innovativi come la calce, scegliere arredi di design».

Il momento non è facile, però.

«Il covid ha tagliato le gambe soprattutto a chi non era sano o non ha saputo usare gli aiuti, non molti per la verità, del Governo. Io, da imprenditrice, ho cercato di tutelarmi il più possibile. Non dimentichiamo, poi, che prima dell’emergenza sanitaria abbiamo avuto l’acqua alta. Di fatto è da novembre che soffriamo. Già in quelle settimane abbiamo visto l’estrema fragilità di Venezia».

Allude al turismo?

«Al turismo e a tutto il resto. È evidente che se non cerchiamo di fare qualcosa, la città muore».

Com’è stata la ripartenza dopo il lockdown?

«Ho sempre lavorato con una clientela internazionale e con una piccola parte di clienti locali. Le difficoltà, in questo momento non risparmiano nessuno e così anche le mie acquirenti avvocatesse magari hanno società che non pagano, o le mie acquirenti albergatrici hanno l’albergo chiuso, o chi aveva appartamenti da affittare oggi ha meno soldi. È una catena, alla quale siamo tutti legati».

Tante spese e poche entrate.

«Guardi, io posso dichiarami fortunata perché sono in affitto dalla Curia e la Curia mi è venuta incontro riducendo il canone di locazione».

Non tutti hanno fatto così.

«Infatti. Ci sono negozianti che non hanno avuto nessuna agevolazione e sono stati costretti a restituire le chiavi, così, dopo anni e anni di lavoro. Se un negozio chiude, tuttavia, anche le attività vicine ci rimettono perché la zona s’impoverisce».

Cosa propone?

«Innanzitutto un maggior dialogo tra inquilino e proprietario, perché senza la collaborazione di tutti, tutti perdiamo qualcosa. E poi, ma questo spetta all’amministrazione, sfruttare questa occasione per ripulire la città. Istituire aree in cui non si possono più aprire negozi di souvenir. Abito ai Tolentini, e ormai ci sono solo botteghe di bengalesi».

E poi?

«E poi sarebbe bello che i veneziani comprassero il più possibile nella loro città. Io viaggio molto, ma cerco di spendere i miei soldi a Venezia, per aiutarla in questo momento così nevralgico. Anche per questo ho deciso di aprire un altro negozio».

Come sarà?

«Un piccolo spazio di 30 metri quadrati, un rettangolo lungo, con l’impronta dell’argilla, il design italiano. Darà risalto a piccole collezioni anche di creativi emergenti. Sarà uno spazio dinamico e sempre in movimento».

Perché calle delle Botteghe?

«Perché è una zona della città che merita. Inoltre mancava l’abbigliamento».

Paura?

«Nessuna». —



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