Il commissario Fiengo: «Finalmente il Mose è in mano allo Stato»

L’avvocato chiamato ad amministrare il Consorzio Venezia Nuova: «Senza il piano di commissariamento le dighe non si sarebbero mai alzate, abbiamo allontanato le grandi imprese»
Giuseppe Fiengo per POST IT
Giuseppe Fiengo per POST IT

VENEZIA. «Venezia è rimasta all’asciutto con l’acqua alta? Beh, questo è importante. Una bella notizia. Un grande passo avanti. Ricordiamo che se il Consorzio Venezia Nuova non fosse stato commissariato dopo lo scandalo del 2014, probabilmente il Mose non sarebbe mai andato avanti».

Giuseppe Fiengo, avvocato dello Stato e amministratore straordinario del Consorzio nominato dall’Anac di Cantone e dal ministero dell’Interno, si toglie un sassolino. Periodo in cui tutti chiedono a gran voce la fine dell’emergenza. Nuova tolda di comando affidata alla commissaria del Mose Elisabetta Spitz. E tra poco la nuova Agenzia, che il Parlamento voterà nelle prossime ore. L’Autorità per Venezia che prevede tra l’altro la liquidazione del Consorzio nato nel 1984 per realizzare il Mose.

Allora i commissari del Consorzio non hanno frenato, come dice qualcuno.

«Abbiamo cercato di ripristinare la legalità, e questo ovviamente ha provocato ritardi e proteste. Ma abbiamo anche realizzato quello che prima non c’era».

Cioè?

«Quando sono arrivato qui, nel 2016, il patron della Mantovani Chiarotto, allora primo azionista del Cvn, mi disse chiaro e tondo che non avremmo mai finito il Mose se avessimo commissariato la Comar, la società operativa creata dalle imprese. Baita disse invece che loro avevano la scheda del software e per farlo funzionare dovevamo rivolgerci alle imprese che lo avevano costruito».

Invece?

«Invece non c’erano gli impianti, il cuore del sistema. E in questi anni li abbiamo realizzati. Abbiamo smentito che per andare avanti si dovesse fare ciò che volevano le imprese».

Ieri il Mose ha funzionato. Tutti i problemi sono risolti?

«Certo che no. Il Mose non è finito e non finirà mai. Come le opere che vivono sott’acqua man mano si migliora e si affina. Adesso servono piani credibili di gestione e manutenzione. Poi occorre aggiornare la sicurezza, ferma agli anni Novanta. Da allora è passato un secolo...».

Anche metter mano alle criticità.

«Ma certo. E’ un’ opera che sta sott’acqua. Ha bisogno di cure continue. Come la laguna. Anche la laguna non si può dire che sia un’opera finita».

Quello di oggi comunque è un passo avanti.

«Sì, certamente, ringraziamo tutti coloro che in questi anni ci hanno lavorato. Ma soprattutto è la dimostrazione che l’opera comincia a funzionare dopo che le grandi imprese sono state allontanate. Se posso dire così, è fallito il disegno di chi pensava come Chiarotto e Baita che senza di loro tutto si sarebbe bloccato, e che si doveva continuare come prima. Adesso il Mose non è più in mano alle grandi imprese che lo hanno progettato e costruito ma in mano allo Stato». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Argomenti:mose

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia